Beethoven e Bruckner per Sokhiev
15 dicembre 2025 • 4 minuti di lettura
Auditorium Parco della Musica
Tugan Sokhiev
11/12/2025 - 13/12/2025Due opere considerate minori di due grandi compositori, dirette da Tugan Sokhiev con Jean-Frédéric Neuburger al pianoforte, lasciava prevedere un buon concerto, d’altronde questa è la norma all’Accademia di Santa Cecilia. Invece è stato molto di più: sarebbe pienamente giustificato piazzare qui qualche superlativo, ma lasciamo perdere. Il pubblico - mi riferisco alla prima delle tre repliche - deve averla pensata come il sottoscritto, perché non ha riempito la sala (ma, date le dimensioni dell’auditorium, gli ascoltatori non erano comunque pochi) però ha apprezzato molto e alla fine ha dimostrato il suo entusiasmo anche con quell’applauso ritmato in genere riservato agli esponenti dello star system, che quasi stonava con la modestia di un personaggio schivo come Sokhiev, che si premurava di ringraziare le varie sezioni dell’orchestra e condividere con loro quegli applausi.
Non è stata o una sorpresa, perché, tutte le volte che Sokhiev ha diretto a Roma - e ormai non sono poche - ha dimostrato di essere un direttore di grande valore, facendo spesso scoprire o riscoprire musiche rimaste ai margini del repertorio. Tale è la Fantasia in do minore op. 80 per pianoforte, coro e orchestra di Ludwig van Beethoven, considerata un abbozzo preparatorio del finale della Nona Sinfonia - che sarebbe venuta ben sedici anni dopo - di cui in effetti anticipa il tema principale e soprattutto l’idea rivoluzionaria dell’inserimento del coro in un pezzo sinfonico. Spesso viene sbrigativamente liquidata come un montaggio non troppo ben congegnato di elementi diversi, di idee talvolta geniali (d’altronde stiamo parlando di Beethoven) e talvolta un po’ bislacche e perfino ingenue, con un risultato piuttosto modesto.
Lo pensavo anch’io ma non avevo ancora ascoltato questa esecuzione. Toccava al trentanovenne pianista francese Jean-Frédéric Neuburger - che esibisce un curriculum relativamente modesto se paragonato al glamour hollywoodiano orchestrato da agenzie ed uffici stampa di tanti giovani pianisti spacciati per star ma assolutamente insignificanti - introdurre la Fantasia con quella che originariamente sarebbe stata un’improvvisazione, in quanto lo stesso Beethoven, che fu il pianista della prima esecuzione, l’avrebbe improvvisata sul momento e messa poi per iscritto. Ma chi può pensare che la sera del concerto Beethoven si sia seduto al pianoforte e si sia chiesto: “E ora cosa faccio?”, come se fosse capitato lì a sua insaputa. Evidentemente già aveva pensato quel voleva fare. È un brano “sperimentale”, che da una parte guarda alle grandi Sonate di quegli anni, le opp. 53 e 57, e dall’altro anticipa con il suo andamento più libero le ultime sonate. Neuburger ha dimostrato la potenza di quest’introduzione innovatrice e rivoluzionaria, che soltanto Beethoven avrebbe potuto scrivere. Bellissimo. Inizialmente protagonista assoluto, si è poi perfettamente integrato - e non è facile - con orchestra e coro, senza smanie di protagonismo, che altererebbero irrimediabilmente il carattere di questa musica, basato su un difficile equilibrio tra pianoforte, orchestra e coro, raggiunto mirabilmente dalla concertazione di Sokhiev.
Si è risolto così uno dei problemi che sbilancia questa Fantasia, ovvero l’eterogeneità dei tre protagonisti, orchestra, coro e pianoforte. Sokhiev ha fatto il resto, dando coerenza formale ed espressiva al brano, le cui varie sezioni in altre interpretazioni appaiono disparate e mal collegate, e dimostrando che questa Fantasia è pur sempre un’opera della piena maturità di un certo Beethoven. Sembrerebbe un fatto scontato, ma nessuno come Sokhiev - stando alla nostra esperienza - ne ha reso con altrettanta scultorea evidenza l’unità di fondo, che consiste nel percorso ideale che dal cupo e drammatico do minore iniziale conduce alla catartica luce dell’intervento conclusivo del coro, in cui si riconoscono chiare anticipazioni dell’Ode alla gioia della Nona Sinfonia. È molto più facile a dirsi che a farsi, perché effettivamente questa musica è, a prima vista, formata da sezioni eterogenee. Ma proprio questo è uno dei motivi della sua bellezza, purché si sappia come governarla. E - mi ripeto - Sokhiev l’ha fatto benissimo. Ha raccolto molti e meritatissimi applausi, che ha voluto condividere con il pianista, l’orchestra, il coro e i sei artisti del coro - Valentina Varriale, Marta Vulpi, Eleonora Cipolla, Alfio Vacanti, Francesco Toma e Patrizio La Placa - che avevano parti solistiche di un certo rilievo.
La seconda parte del concerto era interamente dedicata alla Sinfonia in re minore n. 3 di Anton Bruckner, che non un’opera giovanile, come potrebbe far credere il numero: fu composta nel 1873, quando Bruckner aveva quarantanove anni, e fu revisionata a più riprese fino al 1889, quando gli restavano pochi anni di vita. Sokhiev ne ha offerto una lettura splendida fin dall’inizio, quando le lunghe note degli strumenti a fiato sembravano fluttuare lentamente, come prive di peso e di direzione, sugli archi, che invece ripetevano velocemente un unico accordo (re minore) in modo sempre diverso. Il tono arcano e anche leggermente inquietante che Sokhiev dà a questa introduzione è con ogni probabilità proprio quel che intendeva Bruckner scrivendo “misterioso” sulla prima battuta. L’attacco di questa sinfonia è piuttosto noto ma nessuno lo realizza con altrettanta sensibilità al colore così peculiare dell’orchestra.
Sokhiev ha prestato la stessa acuta attenzione a tutte le innumerevoli particolarità dell’orchestrazione, smontando la vecchia convinzione che Bruckner, in quanto organista, concepisse le sezioni dell’orchestra come i registri di un organo e le raggruppasse insieme in blocchi sonori massicci, in cui si perdono le particolarità dei singoli strumenti. Mettendo invece in evidenza la vita che pulsa all’interno di quegli aggrovigliati ammassi strumentali, Sokhiev ha fatto giustizia della leggendaria attribuzione a Bruckner di pesantezza teutonica e nebulosità nibelungiche. A scanso di equivoci, va precisato che non ha affatto miniaturizzato questa sinfonia ma la ha anzi resa più energica e trascinante.
Sarebbe interessante sentire come quest’approccio di Sokhiev funzioni nelle sinfonie bruckneriane più tardi, ma nella Terza il risultato è stato splendido.