Alla riscoperta dell’Albinoni operista 

Al Teatro Malibran di Venezia torna in scena La Statira di Tomaso Albinoni per il Progetto Opera Giovani 

La Statira (Foto Michele Crosera)
La Statira (Foto Michele Crosera)
Recensione
classica
Venezia, Teatro Malibran
La Statira
07 Marzo 2019 - 09 Marzo 2019

Dopo la giovanile Zenobia della scorsa stagione, torna il teatro musicale di Tomaso Albinoni sul palcoscenico del veneziano Teatro Malibran con la più matura Statira che precede di qualche giorno il debutto del Pimpinone dello stesso compositore. Anche per questo titolo il recupero si deve all’impegno musicologico di Franco Rossi, che ne ha curato la trascrizione per questa prima assoluta in tempi moderni. 

Rappresentato per la prima volta al Teatro Capranica di Roma nel Carnevale del 1726 con un cast di soli uomini, questo dramma per musica mette in scena la lotta all’ultimo sangue per la conquista del trono di Persia dopo la morte in battaglia di re Artaserse fra la virtuosa “delfina” Statira e l’ambiziosa Barsina, figlia del crudelissimo ex-re Ciro. La rotta dell’esercito persiano e la temporanea presa del potere dello scita Oronte scatena ancora di più la lotta fra le due contendenti in attesa che venga dichiarata la legittima erede al trono vacante. Oronte propenderebbe per l’amata Statira, se Barsina non spingesse Idaspe a attentare alla vita dello scita e a far accusare e imprigionare Arsace, lagato a Statira. La nobile resistenza di Arsace convince Idaspe a rivelare la sua colpa e le trame di Barsina, portando così al lieto fine con l’insediamento sul trono di Statira e Arsace. Trama complessa che, come sempre, è soprattutto pretesto per il classico sfoggio di arie di bravura, non prive di elaborate finezze per questo insolito Albinoni operista. 

L’allestimento del dramma in musica, ridotto a poco meno di due ore, nell’ambito del Progetto Opera Giovani, meritoria collaborazione fra il Teatro La Fenice e il Conservatorio “Benedetto Marcello” di Venezia, porta la firma del regista Francesco Bellotto, che insiste sulla dualità incarnata dalle due prime donne, la virtù (Statira) e il vizio (Barsina), e condisce con più di uno spunto spiritoso la vicenda, fra tutte la presenza del fantasma inquieto e piuttosto malconcio di Artaserse. La scena fissa di Alessia Colosso riassume quella dualità attraverso due pareti riflettenti in prospettiva così come i costumi di Carlos Tieppo di foggia settecentesca con divagazioni contemporanee in variazioni di bianco per i buoni e di rosso per i cattivi. 

Tutti studenti in scena e in buca, dove suona l’Orchestra Barocca del Conservatorio “Benedetto Marcello” (con qualche docente di rinforzo nelle prime parti) preparata con grande impegno e sincera passione da Francesco Erle. Non manca ovviamente qualche inciampo sia in scena che in buca e più di un recitativo traballante, ma via via che la macchina si riscalda i giovani interpreti acquistano sicurezza e la recita fila. In scena, comunque, più d’uno mostra già doti apprezzabili e dimestichezza con il palcoscenico, come la musicalmente matura protagonista Lidia Fridman, ma anche il controtenore Andrea Gavagnin, che dona a Idaspe un tocco di ispirata nobiltà, e Michele De Coelho, che è un Arsace “en travesti” spigliato e sicuro. Buone doti soprattutto attorali mostra anche Ligia Ishitani ma la sua Barsina, il ruolo più scoppiettante del lavoro di Albinoni, soffre spesso di una certa approssimazione vocale. Meno riuscite le prove di Xi Tianhong (Oronte), Yi Hao Duan(Dario) e Bao Jie (Oribasio), penalizzati anche da una dizione non proprio immacolata. 

Pubblico nutrito nell’unica rappresentazione non destinata alle scuole del cartellone. Molti applausi, non solo di incoraggiamento, con l’augurio di rivedere ancora molti di questi Albinoni. 

 

 

 

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