Alessandro Scarlatti, fra Roma e Polonia
Pregevole esecuzione del raro oratorio San Casimiro, in una coproduzione tutta siciliana
Da qualche anno, il Conservatorio palermitano è intitolato ad Alessandro Scarlatti, non solo – crediamo – per segnalare la nascita nel capoluogo siciliano di un importantissimo musicista nato, ma pure per valorizzare la sua corposa e mai abbastanza eseguita produzione, nonché per corroborare un movimento di interpretazione della musica antica che a Palermo ha una tradizione tanto radicata, quanto in recente crescita. Così, le forze esecutive coinvolte nella riproposta dell’oratorio San Casimiro, Re di Polonia, sostenuta non per caso dall’Istituto di Cultura Polacco in Italia, ruotano attorno all’Arianna Art Ensemble, che l’ha proposto nella stagione di MusicaMente sotto la direzione di Ignazio Maria Schifani, ma le esecuzioni sono approdate anche nella zona orientale della Sicilia, grazie alle ospitalità del Festival ‘Magie Barocche’ (Noto) e dell’Associazione Musicale Etnea (Catania). Quest’ultima performance, presso il Santuario del Carmine, ha confermato – ove ce ne fosse stato bisogno – la maestria di Alessandro Scarlatti, soprattutto nel giostrare elementi stilistici, forme e organico vocale-strumentale, in modo da generare sempre nuova informazione sonora e legarla ai valori drammatico-narrativi della parola. Ciò anche dove l’ossatura del libretto è esile e tendenzialmente allegorica: nell’oratorio datato 1704 (di librettista anonimo, ma probabilmente del Capece che firmò i testi per le opere eseguite presso la residenza della regina-vedova di Polonia in esilio a Roma, Maria Casimira, di cui era anche segretario particolare) l’unico personaggio reale è il sovrano santo (tenore), in campo direttamente nella più ampia seconda parte, lusingato o sostenuto da personaggi allegorici incarnati in voci femminili, medio-gravi per le virtù, acute e in stile fiorito per le vanità. Ma tra calibratura ed espressività dei recitativi, alternanza di forme strofiche e col da capo, bellezza e trascolorazione di tessiture nei pannelli e nei ritornelli degli archi (concertante nella Sinfonia, ora polifonica ora all’unisono contro il basso continuo negli altri episodi), nitore e profilatura melodica della vocalità delle arie, non ci si annoia mai, anche perché la durata non eccessiva aiuta la relativa compattezza della drammaturgia sonora.
Pregevole l’interpretazione, che nella componente strumentale ha sempre fatto respirare con eleganza e fluidità la partitura di Scarlatti e aiutato il fraseggio delle voci, agevolata dalla generosa risonanza della chiesa. Quest’ultima ha forse tolto qualcosa alla comprensione puntuale della parola nelle zone più virtuosistiche della vocalità (che pure rivestono costantemente anche un valore drammatico), ma non ha oscurato l’ottima prova delle voci soliste, nonostante la giovane età di molte cantanti, a conferma della bontà del movimento interpretativo palermitano intorno alla musica antica: i soprani Anastasia Terranova e Martina Licari sono tecnicamente sicure e plastiche nelle agilità, il mezzosoprano Debora Troìa e il contralto Aurora Bruno disegnano con precisione, rotondità di emissione nel registro centrale e cura della fonesi verbale i loro ruoli, Luca Dandolo – il più navigato tra le voci – è un San Casimiro musicalmente a tutto tondo. Concerto seguito con attenzione, e applaudito con convinzione, da un pubblico decisamente numeroso.
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