Ad Anversa un Macbeth estremo

Convince il nuovo allestimento firmato Thalheimer

Macbeth
Macbeth
Recensione
classica
Opera di Anversa
Macbeth
21 Giugno 2019 - 06 Luglio 2019

Lo spettacolo inizia a scena aperta, si vede come una mezza grande vasca con i bordi arrotondati come nelle piste da skateboard, lungo i bordi una passerella sui cui si piazzano subito le streghe, per la verità donne molto sofisticate con un lungo caschetto biondo e un un sensuale abito nero a due pezzi.  Tutto qui, non si aggiungerà altro, se non un buon gioco di luci, e sarà più che sufficiente. Le scene sono di Henrik Ahr, i costumi davvero belli di Michaela Barth, entrambi tedeschi come Michael Thalheimer che, dopo il successo sempre ad Anversa qualche anno fa della sua Forza del Destino  firma un’altra produzione d’alto livello, sicuramente tra le migliori messe in scene del Macbeth di Verdi non tradizionali di questi ultimi anni. Sul podio il maestro Paolo Carignani alterna però momenti di grande spessore musicale con pause troppo lunghe che spezzano il ritmo e la tensione di uno spettacolo che opportunamente è stato proposto solo in due tempi. Anche da un punto di vista vocale, entrambi i due coniugi Macbeth non convincono sino in fondo anche se da un punto di vista attoriale la loro interpretazione è riuscitissima, solo forse un po’ troppo caricaturale e buffonesca quella del marito. Entrambi – l’americano basso-baritono Craig Colclough è Macbeth ed il mezzo soprano russo Marina Prudenskaya è Lady Macbeth – mostrano sopratutto qualche difficoltà d’estensione, il primo cambia voce verso lo stridulo per le note più alte, la seconda è molto, molto gutturale in basso senza fare capire una parola o quasi. Il risultato sembra comunque in linea con la loro immagine un po’ agli estremi tanto da apparire come degli zombi, sia nel trucco che nei movimenti. Molto d’effetto da questo punto di vista la prima apparizione di Lady Macbeth, in un abito nero da gran sera, che canta con gli occhi spiritati e le braccia e le dita che si muovono rigide come, appunto, quelle di un morto vivente. Altrettanto buona la prova del basso Tareq Nazmi come Banco, autorevole e possente, figura dominante anche quando è solo un fantasma; una rivelazione poi il tenore uzbeko Najmiddin Mavlyanov come Macduff, dizione talmente chiara che sembra un italiano, meraviglioso timbro maschile rotondo e pieno, decisamente una voce verdiana, non a caso la sua aria è stata subito applaudita. Precisa Chi-Fen Wu come la Dama di Lady Macbeth, ed onorevole il Malcom di Michael J. Scott. Il coro poi, diretto da Jan Schweiger, nell’insolita messa in scena sembra valorizzato, canta con cura e si sente bene, molto godibile in particolare il suo Patria Oppressa cantato nelle vesti, anche loro, di scozzesi-zombi. Molto ben riuscite in generale le scene d’insieme, come ad esempio verso la fine  quella della foresta che avanza sul bordo della vasca con effetto oppressivo. Anche se la drammaturgia manca un po’ di finezza, sopratutto nella seconda parte, una tale alternanza tra minimalismo d’effetto, bellissima la scena della festa evocata soltanto con stelle filanti e coriandoli (peccato solo che poi questi ultimi sino riciclati nel secondo tempo con effetto già visto), e caricatura di film horror, con troppo rosso sui corpi, pure il sangue immaginario sulle mani arriva invece vivido sino alle ascelle, tutte le contraddizioni dell’abisso dell’animo umano risultano come meravigliosamente concentrate ed amplificate in quella mezza vasca dai bordi scivolosi dove si affaccia il mondo, ed alla fine anche il solitamente freddino pubblico di Anversa si lascia andare a scroscianti applausi. 

 

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