Eleonora Bordonaro: viaggio a San Fratello

La cantante siciliana alla scoperta dei "lombardi di Sicilia" nel nuovo disco Roda

Eleonora Bordonaro
Disco
world
Eleonora Bordonaro
Roda
Finisterre
2024

Una volta, con l’ironia sulfurea che spesso illuminava le sue sortite, Giovanna Marini rispose più o meno così a chi le chiedeva un suo parere sulla world music, allora fenomeno e caso di mercato in piena ascesa: «Musica dal mondo? Io ho impiegato decenni a capire cosa c’è nel patrimonio musicale del Frusinate e della Ciociaria».

Al di là del sarcasmo, Marini indicava un problema vero: spesso ci sfugge ciò che ci è vicino, il nostro sguardo che vorrebbe essere acuto scavalca quelle che sono ritenute aree arcinote (e non è vero), e si appunta presuntuosamente lontano, a migliaia di chilometri, illudendosi di aver presa sulla realtà. Un po’ come il turismo di massa: si va in Malesia, ma magari ignoriamo che a un passo da casa nostra ci sono oasi di cultura e di natura.

Deve aver fatto un ragionamento del genere la potente Eleonora Bordonaro, che ricordavamo in un disco riuscito e fiero, bella grinta già dal titolo, Moviti ferma, e in precedente altra significativa uscita, Cuttuni e lamè.

Bordonaro è siciliana. E la Sicilia è isola-continente, per la musica. Lei è catanese, e già la sua area di riferimento è  qualcosa di potentemente diverso dal trapanese, dal messinese, dal palermitano. Però, come ha detto qualcuno, «Per quanto sia audace esplorare l’ignoto, lo è ancor di più indagare il noto».

E Bordonaro s'è messa d’impegno a esplorare il noto, o presunto tale. Le isole dentro l’Isola. Dove il principale marcatore di differenza è, inevitabilmente, uno: la lingua. Ad esempio andando a ricercare il patrimonio arbereshe residuale degli “albanesi di Sicilia”.

Adesso una nuova avventura musicale e linguistica nella sua Sicilia, che alza l’asticella ancor più in alto, e qui si richiedono spiegazioni consistenti.

C’è un paese e un territorio, compreso nell'area metropolitana del messinese, ma già in altitudine premontana, che oggi chiamiamo San Fratello, ma che più correttamente dovrebbe essere reso come San Filadelfo. In epoca normanna, tra l’undicesimo e il tredicesimo secolo la zona, dotata di un castello a presidio, fu ripopolata di coloni e soldati di ventura che arrivavano da zone che oggi identifichiamo nella Liguria, nel Piemonte, Lombardia, Emilia.

Quella gente non cominciò mai a parlare il siciliano di Messina o le forme di protovolgare che comunque al siciliano si riferivano. Si intesero fra loro creando e affinando nei secoli una lingua che metteva in conto tutti gli apporti locali delle singole provenienze, una specie di esperanto longobardo. Una lingua nuova, e che oggi, parlata ancora da tutti a San Fratello, è diventata, come si suol dire “lingua di tradizione”: il gallo-italico.

Incomprensibile a tutti, senza una buona guida: tant’è che i messinesi dicono di loro “i francisi” o “i lombardi”.

Eleonora Bordonaro ha frequentato quella comunità così fiera e speciale, imparando a conoscere anche un’altra particolarità culturale: a San Fratello agiscono le bande dei “Giudei”. La cui principale particolarità è di suonare durante la settimana della Passione clamorosi brani su trombe di origine militare e napoleonica a un pistone, con un effetto che non può non richiamare le fanfare balcaniche. Il tutto con coloratissimi vestiti cuciti a mano che li fanno sembrare pazzarielli siculo-lombardi.

Musica da festa nella settimana della Passione? Sì, e qui c’è uno spunto interessantissimo di “articolazione popolare”: loro sostengono che la musica di festa dei “Giudei” nella passione (proibita durante il fascismo, ovviamente) non festeggia certo la morte del Cristo, ma è una sorta di anticipazione della resurrezione, presagita con la musica.

Bella storia. Bordonaro ha contribuito a scrivere testi magnifici facendone curare e rivedere la traduzione in gallo-italico, poi ha costruito, canzone su canzone e in comunità, un possente affresco spesso in levare per fiati, voci e altri strumenti che diventa una sorta di melting pot globale innestato su una tradizione che è già di per sé melting pot. Che potenza.

Ascoltare per credere, e con il sarcasmo iniziale di un sanfratellano che dice: “Nà,nì ghji ng’è canzuoi n sanfardean! (No, non esistono canzoni in sanfratellano!).  Mettete in conto un viaggio a San Fratello, anzi, a San Filadelfo.

 

 

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