Daniel Villareal fra Panama e Chicago

L'album di debutto del batterista, DJ e compositore panamense-americano è un viaggio fra psichedelia, cumbia, afrobeat e latin-funk

Daniel Villarreal (foto di Carolina Sanchez)
Daniel Villarreal (foto di Carolina Sanchez)
Disco
world
Daniel Villareal
Panamá 77
International Anthem
2022

Daniel Villarreal-Carrillo è un batterista nonché DJ molto conosciuto all’interno della scena di Chicago. Originario di Panama, è riuscito a fondere il suo stile percussivo latino-americano con influenze di rock psichedelico, cumbia, afro-beat, boogaloo, free jazz, hip-hop e funk, dando vita a un paesaggio sonoro originale e totalmente contemporaneo.

Panamá 77, il suo album di debutto come solista, non è incasellabile in un genere ben preciso, è intriso di spirito improvvisatorio, risultando in qualcosa di veramente naturale e vivo.

Dos Santos è un quintetto con base a Chicago che mette insieme la musica popolare americana e quella tradizionale latina: no, descritta così sembra qualcosa di già sentito, di poco originale, quando in realtà questo gruppo è uno dei più interessanti e sorprendenti ascoltati negli ultimi anni. Attivo discograficamente dal 2015, ha realizzato quattro album, ovviamente consigliatissimi: Dos Santos (2015), Fonografic (2016), Logos (2018) e City of Mirrors (2021).

 Il gruppo è composto da Alex Chavez (voce, chitarra e tastiere), Jaime Garza (basso), Nathan Karagianis (chitarra e voce), Peter “Maestro” Vale (percussioni) e… sì, proprio lui, Daniel Villareal-Carrillo (batteria).

Villarreal iniziò a suonare la batteria nelle scene punk e hardcore dell’America Centrale. Freddy Sobers, batterista dei gruppi panamensi di reggaeton El General e Nando Boom, lo prese sotto la sua ala, facendogli al contempo conoscere tutti quei generi musicali che ritroviamo oggi in Panamá 77. Trasferitosi a Chicago, ha suonato con Valebol, The Los Sundowns e Ida y Vuelt, prima di conoscere gli altri musicisti con cui ha dato inizio all’avventura dei Dos Santos.

Lavorando come DJ Daniel si specializza in suoni vintage dell’Afro-diaspora ma i suoi set mettono in mostra la sua profonda conoscenza di electronica, tropicalia, vintage latin soul, chicha, psychedelic cumbia, afrobeat, reggae e funk, generi che ovviamente contribuiranno a plasmare la sua creatività musicale.

«Vedo la mia vita e la mia musica come una collaborazione tra improvvisazione e intento, tutto nello spirito di condivisione e gioia» - Daniel Villareal

Il lavoro su Panamá 77 è cominciato nel 2019: prima dell’inizio della pandemia, Villarreal si è diviso tra West Coast e Chicago, tra San Diego, dove vivono le sue figlie, e Los Angeles, per suonare e fare il DJ. Una sera ha tenuto una live session nella lobby del Freehand Hotel a Los Angeles; l’esibizione, in gran parte improvvisata, ha visto la partecipazione del chitarrista Jeff Parker, di Elliot Bergman dei Wild Belle e di Bardo Martinez dei Chicano Batman (altro gruppo che mi sento di raccomandare) ed è stata registrata dal bassista Kellen Harrison: a sentire Villarreal, questa è stata la motivazione iniziale a fare qualcosa per se stesso.

Poi è arrivato il 2020 e per forza di cose il progetto è stato messo in pausa: «È andata bene ed è andata male, come per un sacco di persone. Penso che la cosa più grave sia stata la scomparsa del flusso di lavoro e poi, in quanto persona creativa, essere rimasto da solo, non avere più i miei compagni e la mia comunità per continuare a creare e contribuire ai raduni sociali».

Dopo quanto scritto in questa lunga introduzione, non è una sorpresa che il suo primo album solista contenga un’affascinante miriade di suoni folk-funk e di trame di jazz psichedelico. Il sassofono di “Bella Vista” è un’invocazione che dà il calcio d’inizio di Panamá 77, a cui si legano l’improvvisazione in technicolor di “Ofelia”, brano dedicato alla memoria di Ofelia De León, nonna di Daniel, e la sensazione di umidità di una notte d’estate ricreata da “In/On”. “Uncanny”, funk dal sapore caraibico con improvvise aperture “cosmiche” e un organo memore di quello di William Onyeabor, è senz’altro una delle vette della raccolta.

 «Quando sono parte di una band, contribuisco con la mia batteria, le mie percussioni, e anche arrangiando o componendo qualcosa insieme con uno stile musicale ben definito o un tema specifico. Ma con il mio disco volevo solo che fosse una tela libera e con la mente aperta, non volevo dire agli altri cosa suonare» - Daniel Villareal

Ed è stata proprio la mente aperta nell’ottobre del 2020 a riportare Daniel a Los Angeles, dove ha registrato quattro brani dal vivo, sessioni di musica nuova catturate all’aperto nel patio dell’abitazione di Scottie McNiece, co-fondatore dell’etichetta discografica International Anthem.

Ecco, l’International Anthem: se non la conoscete, vi dico solo che attualmente ha sotto contratto Alabaster DePlume, Angel Bat Dawid, Makaya McCraven, Anteloper, Irreversible Entanglements, Damon Locks – Black Monument Ensemble, Dos Santos e altri ancora di cui presto sentiremo (e dovremo) parlare, e quindi non penso di sbagliare affermando che questa è una delle poche etichette che oggi sta veramente proponendo musica nuova.

Ma torniamo ai 12 brani, tutti strumentali, che compongono Panamá 77: il notturno “Activo” fa sfoggio di una base percussiva ipnotica, mentre nella parte conclusiva dell’album sono gli organi e i synth a farla da padroni, con particolare riferimento a “Patria”, una specie di valzer che evoca nella sua melodia la leggenda panamense Avelino Muñoz, e a “18th & Morgan,” un’ode sullo stile di Roy Ayers alla via molto trafficata in cui Daniel vive e lavora.

 Panamá 77 è l’omaggio di Villareal ai suoni della sua giovinezza ma anche al suo presente, un disco che riesce a trasmettere all’ascoltatore quell’atmosfera di libertà in cui è stato concepito. «Volevo condurre la gente in un viaggio»: obiettivo centrato.

 

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