Sei / ascolti #13: Lucia Ronchetti

I compositori di oggi si raccontano in sei ascolti: la selezione di Lucia Ronchetti, neo direttrice della Biennale Musica

Lucia Ronchetti (foto  Stefano Corso)
Lucia Ronchetti (foto Stefano Corso)
Articolo
classica

Contemporanea o colta che dir si voglia, sono molti i nomi che possiamo usare per definire la musica del nostro tempo. Ma cosa si nasconde dietro quelle sonorità, spesso accusate di apparire troppo ostiche o addirittura cerebrali? In questo ciclo di articoli chiediamo ad alcuni compositori "di oggi" di scegliere sei brani di autori diversi che in qualche modo abbiano esercitato una particolare influenza sul loro modo di pensare e scrivere la musica.

Nelle ultime puntate abbiamo incontrato tra gli altri Yannis Kyriakides, Hugues DufourtGiacomo Manzoni e Jörg Widmann. Ora tocca a Lucia Ronchetti.

– Leggi le puntate precedenti di Sei/ascolti

Non solo compositrice: per i prossimi quattro anni il nome di Lucia Ronchetti sarà infatti legato anche alla direzione artistica del Festival Internazionale di Musica Contemporanea della Biennale di Venezia, la cui 65° edizione si svolgerà dal 17 al 26 settembre.

Dopo gli studi musicali tra Roma e Parigi, dove ha conseguito il dottorato in musicologia, Lucia Ronchetti si è imposta soprattutto nell’ambito del teatro musicale. Lo scorso giugno Inferno, l’opera basata sulla prima cantica della Divina Commedia, ha debuttato in prima mondiale al Bockenheimer Depot di Francoforte in forma di concerto, a causa dell'emergenza sanitaria, mentre una versione cinematografica è stata presentata a luglio al Festival dei due mondi di Spoleto. Quest’anno Lucia Ronchetti è stata inoltre docente di composizione ai Ferienkurse di Darmastadt e Professore di composizione invitato all'Università di Musica e Arti dello Spettacolo di Francoforte.

Tra i prossimi impegni, a Berlino è attesa la prima esecuzione assoluta dell'opera da camera Pinocchios Abenteuer con la regia di Swaantje Lena Kleff, mentre la nuova opera Das Fliegende Klassenzimmer sarà destinata al Deutsche Oper am Rhein. Nel 2023 un altro nuovo titolo verrà messo in scena al Schwetzinger SWR Festspiele - Luzern Oper e, all’ACHT BRÜCKEN - Musik für Köln, verrà eseguito un nuovo lavoro corale.

1. Trio n. 2 op. 100 D. 929, Franz Schubert

«Importantissimo e ancora presente nella mia memoria è stato l'ascolto incessante dell'unico disco da me posseduto nella primissima infanzia, il Trio op. 100 di Schubert nell'esecuzione del Trio Fontanarosa. Un 33 giri con un largo e profondo mare verde in copertina, trovato per caso su una panchina di un parco della periferia romana da mia nonna, che ha poi comprato per me un giradischi usato, malconcio e traballante. Lo ascoltavo soprattutto la sera prima di dormire nella camera che condividevo con le mie sorelle, per vincere la paura del buio, fino a che il disco si rigò talmente da non essere più utilizzabile. Ricordo i rumori dei graffi sempre più presenti e la puntina che si consumava e generava lamenti. Ma ricordo anche le linee formali schubertiane, un’architettura sonora che si stagliava sul buio e sul silenzio. Il nome del trio, il Trio Fontanarosa, per me significava Fontana di rose e le grandi lettere nere nel titolo, l'enorme "Opus 100" nella parte superiore della copertina, mi dava il senso di completezza e pienezza, l'idea vaga che ci fossero altri 99 numeri prima».

«Riascoltandolo in età adulta, ho potuto ricostruire che l'emozione più forte era data per me dal primo crescendo di tensione creato dalla scala cromatica del pianoforte e il trillo parallelo di violino e violoncello dell'Allegro. Avevo paura di questo frammento e questa paura "musicale" mitigava l'altra paura, più invasiva e assordante».

«Alcune misure distese e ieratiche che hanno la funzione di ponte modulante alla fine della prima parte di questo Allegro, dove il violoncello mantiene il fa alto come un pedale superiore, trasformato progressivamente in una melodia accennata, mi facevano invece sempre sognare, mi trasportavano in un mondo ideale, era veramente il mio ponte, il mio trampolino per il futuro».

2. Aura, Bruno Maderna

«Quando avevo 16 anni, nel 1979, ho ascoltato per caso a RadioTre Aura di Bruno Maderna, uno straordinario lavoro per orchestra che mi ha fatto decidere contro tutti e tutte le evidenze, di studiare composizione. Ho avuto l'impressione di entrare in una cattedrale acustica, scintillante e sospesa, collocata in una dimensione temporale pulsante, statica e circolare al tempo stesso. Ho continuato ad ascoltare e studiare questo pezzo a lungo, è anche stato l'argomento della mia tesi di laurea in Storia della musica, per la quale ho studiato a fondo i manoscritti e gli abbozzi preparatori nell'Archivio Maderna di Bologna. La verifica della preparazione meticolosa di Maderna di un materiale frequenziale e ritmico che doveva servire alla realizzazione di un grande progetto concepito secondo la serialità integrale e poi volutamente tagliato e rimontato in una forma a lesene dove si alternavano parti generate da materiali seriali e parti semi-aleatorie, impulsi liberi ed esplosivi. Il Preludio lento e accumulativo, che ritorna in forma semi-aleatoria nel Finale, secondo la bellissima lettura di Giuseppe Sinopoli, è stato per me un punto di partenza nell'ambito della mia formazione compositiva».

3. Stalker, Edward Artemiev

«Negli anni Ottanta, mentre studiavo composizione, ho avuto l'occasione di vedere il film Stalker di Andrej Tarkovskij, un film che ha avuto per me una grandissima importanza. L'ideazione della "zona", un'area abbandonata con una stanza dove i sogni diventano realtà era per me una risposta contemporanea e fantascientifica alla creazione del castello di Atlante di Ariosto, un luogo della letteratura che avevo sempre desiderato vedere nella realtà.  I cavalieri sono attratti nel castello dalle loro stesse ossessioni e fantasie, che concretizzandosi li imprigionano e li portano verso la follia. Avevo sempre cercato di immaginare il suono di questo castello e quando ho ascoltato le musiche elettroniche e stranianti di Edward Artemiev per la "zona" ideata da Tarkowski, ho avuto l'impressione di una destinazione acustica, un percorso ineludibile, l'elaborazione di qualcosa che già preesisteva e che doveva solo concretizzarsi nell'ascolto, nel mio ascolto».

«La grandezza e l'importanza di questo compositore russo, pioniere della ricerca musicale contemporanea è per questo indubbia per me».

4. Il Giasone, Francesco Cavalli

«Sono da sempre un'appassionata ascoltatrice dell'opera italiana del Seicento, non ricordo da quando ho cominciato, comunque non ho mai smesso. Il Giasone di Cavalli è una delle opere più interessanti di questo repertorio, da sempre oggetto della mia analisi. In questa partitura il dramma è soprattutto rappresentato attraverso conflitti musicali; la drammaturgia è basata sul contrappunto tra diversi stili vocali, precisamente definiti per ogni carattere e la fabula sembra essere secondaria, un'ombra che circonda l'apparire dei vari personaggi».

«Il testo stesso di Cicognini, grandissimo librettista, è la dimostrazione di una tesi concettuale: la volontaria cecità della coppia formata da Giasone e Medea, il loro incontrarsi solo nel buio senza riconoscersi, costituiva l’unica possibilità che avessero di vivere il loro amore. Il drammatico epilogo ne è poi una prova: una lezione sull’opacità della comunicazione, specialmente tra due persone che credono di amarsi. Nella prima aria Giasone dice infatti che vorrebbe concludere un vantaggioso patto: "Toccar con gl'occhi e rimirar col tatto", è già sicuro che sarebbe molto meglio».

«Nel libretto di Cicognini, ogni personaggio agisce condizionato da forme diverse di cecità, sempre avendo dubbi nel riconoscere gli altri o addirittura sé stesso. La musica di Cavalli invece lo identifica e lo fissa con varianti estreme dello stile vocale, al punto che assistiamo alla simultaneità dell’eterogeneo, alla pluralità e l'intermittenza di differenti idee compositive. La successione di diversità sonore così ben concepite, genera un carosello che diventa spettacolare, acusticamente spettacolare».

5. Wölfli-Kantata, Georges Aperghis

«Il 22 Luglio 2006 ho avuto la fortuna di poter assistere a Stoccarda alla creazione della Wölfli-Kantata di Georges Aperghis eseguita dai Neue Vocalsolisten Stuttgart e dal SWR Vokalensemble, un monumento musicale di un'ora per sei voci soliste e coro, che tenta di fissare in partitura l'indicibile, l’inenumerabile, l’ineseguibile, ricercando la raffinitezza della densità grafica wölfliana e la sua labirintica linearità, sfidando le leggi temporali esecutive e percettive nel nome e nella poetica di Adolf Wölfli».

«I titoli delle cinque parti che formano la Cantata sono tratti da lavori grafici o letterari di Wölfli e delineano la personale lettura di Aperghis, il suo passaggio nella marea delle 20.000 pagine e 3000 illustrazioni lasciate da Wölfli alla Waldau negli ultimi 30 anni della sua vita. Da Petrrohl, un disegno a matita del 1904, dove i personaggi wölfliani si presentano in pose statiche e campiture di attesa, il percorso ideato da Aperghis segue l’intensificarsi inarrestabile degli eventi descritti da Wölfli nella autobiografia fantastica raccolta in Von der Wiege bis zum Graab e nei Geographischen und allgebrähischen Heften, realizzati dal 1908 al 1916. Il compositore analizza l’alfabeto poetico e la topografia spaziale di un linguaggio pittorico che non conosce la pausa, il respiro, caleidoscopicamente ordinato nell'apparente caos dell'ornamentazione simbolica e si sofferma sulle uniche forme di stasi wölfliana: fittissime enumerazioni di città, fiumi, animali, numeri, castelli, ponti, cantine segrete e ripostigli sotterranei».

«Il virtuosismo estremo della scrittura, la tensione del limite dell’eseguibilità, l'evidenza dello sforzo esecutivo che lascia i cantanti senza respiro, pietrificati e coinvolti in un happening inedito e inaudito: una sfida raccolta con passione dagli straordinari dedicatari del lavoro. L’ensemble vocale Neue Vocalsolisten e il coro della SWR di Stoccarda si immergeranno nuovamente in questa grande avventura a Venezia il prossimo 21 settembre. Questo concerto rappresenta il fulcro generatore e la punta di diamante di tutto il programma della Biennale Musica 2021».

6. Wochenend Und Sonnenschein, Comedian harmonists

«Nel 2012, davanti alla mia casa di Berlino, in Gartenstrasse, è stata scoperta una bellissima sala da ballo degli anni Venti, dimenticata per decenni, piena di detriti e vicina al crollo. Uno spazio costruito nel 1905 come ristorante, rinominato Kolibri all'inizio dei mitici anni Venti berlinesi destinato alla grande scena del cabaret tedesco».

«Dopo la guerra, l'edificio si trovò nella Berlino Est e l'ex locale notturno a tre piani fu murato, trascurato e poi dimenticato del tutto. Ho quindi cercato di studiare la topografia di questa strana zona liminare del Mitte, vicinissima al muro, per ricostruire la sua realtà negli anni d'oro, gli anni ruggenti, e ho scoperto che era un'area pulsante di vita musicale con esibizioni continue di grandissimi cantanti e performer».

«Al Kolibri si esibivano le grandi star di quel tempo come i Comedian Harmonists, un ensemble vocale di straordinaria originalità e talento, che ho potuto ascoltare con entusiasmo e ammirazione grazie ai sopravvissuti 78 giri della Electrola. La loro tecnica vocale precisa e discreta, lo straordinario amalgama delle voci, la loro ironia interpretativa, la capacità di sintetizzare e trascrivere pezzi da repertori colti e popolari, rendono le loro esecuzioni una fantastica sintesi di un momento di libertà creativa in cui si è vissuti per un grande lungo attimo, come se non ci fosse un domani».

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