La Calisto alla Scala

Sensuale, comica e trasgressiva, l’opera La Calisto di Francesco Cavalli sarà rappresentata per la prima volta alla Scala di Milano

La Calisto (foto Brescia e Amisano - Teatro alla Scala)
La Calisto (foto Brescia e Amisano - Teatro alla Scala)
Articolo
classica

L’opera di Cavalli debuttò al Teatro Sant’Apollinare di Venezia il 28 novembre 1651 e dopo dieci ulteriori rappresentazioni scomparve dalle scene teatrali per riapparirvi nel 1970 a Glyndebourne curata da Raymond Leppard. Ma è solo nel 1993 che grazie alla cura di René Jacobs e del suo Concerto Vocale venne eseguita integralmente al Théâtre La Monnaie di Bruxelles e da allora l’opera è entrata a fare parte del repertori dei teatri d’opera di diversi paesi, eseguita da interpreti ed ensemble diversi. Sulla scia dell’interesse dimostrato dalla Francia verso il compositore veneziano, Christophe Rousset con il suo ensemble Les Talens Lyriques ha diretto l’opera nel 2010 al Théâtre des Champs-Élysées di Parigi, poi nel 2017 all’Opera di Strasburgo, oltre che in forma di concerto a Vienna, ed ora per la prima volta la dirigerà al Teatro alla Scala di Milano dove debutterà il 30 ottobre 2021 restando in cartellone per altre quattro rappresentazione fino al 12 novembre.

La sua fortuna moderna è una sorta di nemesi delle circostanze avverse che segnarono drammaticamente il suo debutto. Uno dei suoi interpreti principali, il castrato Bonifazio Ceretti, che avrebbe dovuto interpretare Endimione, si ammalò alle soglie della prima, costringendo il compositore ad adattare per un soprano il ruolo dell’eroe mitologico amato dalla Luna, e poi sia il cantante che il librettista, Giovanni Faustini, morirono nella prima metà del mese seguente a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro. Ma grazie ai libri paga della stagione 1651-1652 del Teatro Sant’Apollinare, conosciamo molti dettagli relativi all’allestimento originario, a cominciare dai nomi dei cantanti, e i loro compensi, l’esiguo numero di strumentisti,  il nome del pittore delle scene, e altri dettagli sulla prima rappresentazione di questa splendida opera di Cavalli di cui ci parla Christophe Rousset in questa intervista.

Christophe Rousset (foto Eric Larrayadieu)

La Calisto in epoca moderna gode di una certa fortuna, visto che è stata rappresentata diverse volte.

«Innanzitutto a causa del libretto questa storia di un abuso sessuale verso Calisto da parte di Giove che l’inganna prendendo forma di Diana si potrebbe trasporre in epoca moderna. Penso al movimento Me Too, ma non è  certo il caso di questa regia. Però l’opera ci fa riflettere sull’abuso di potere, sull’inganno, sulla coppia, e c’è anche l’ambigua figura di Diana che dichiara di volere la castità e di essere scioccata dal comportamento di Calisto ma poi è attratta da Endimione…

La cosa molto divertente è che ci sia il travestimento, Giove diventa una donna e seduce Calisto in forma lesbica, e c’è anche la confusione di Endimione che vede Diana in Giove…

Sorprende che nel Seicento sia stato possibile rappresentare una cosa del genere, ma era a Venezia, e a Roma non sarebbe stato possibile. Volendo cercare nel sotto testo possiamo vedere in Diana la critica delle istituzioni  religiose veneziane, nelle quali in nome della castità e della purezza si faceva di tutto. Questo oggi è molto pertinente, ma all’epoca era troppo impertinente».

La musica si adatta meravigliosamente a queste vicende.

«È una musica molto libera e molto affascinante, con dei melismi incantevoli, delle arie strofiche, un recitar cantando, ariosi e credo che piacerà molto al pubblico di Milano, e riserverà delle sorprese perché c’è molto da capire e da apprezzare. L’unione tra il libretto di Faustini e la musica del compositore è una cosa meravigliosa».

Lei userà l’ultima edizione critica curata da Álvaro Torrente?

«No. Ho fatto la mia personale edizione per vari motivi. In primo luogo alla Scala c’è uno spazio ampio e avevamo il timore di presentare un organico esiguo in buca. Così oltre a un continuo piuttosto ricco ho deciso di raddoppiare i violini, con due parti anche di viole, come peraltro ha fatto Cavalli che a volte per la stessa opera ha realizzato una scrittura a tre parti e una a cinque. Io ho pensato di fare lo stesso ampliando la tessitura musicale, e aggiungendo anche strumenti a fiato come due cornetti e due flauti dolci. Va ricordato che la strumentazione della partitura originale consiste nella linea del canto e in quella del basso continuo, con alcuni passaggi di accompagnamento strumentale degli archi a tre o cinque parti.

A partire da questo ho pensato di risolvere alcuni problemi aggiungendo alcuni ritornelli utilizzando i materiali musicali vocali per l’introduzione di alcune scene. Poi, per esempio, alla fine del secondo atto non c’è un balletto, e così ho aggiunto l’ouverture dell’opera OrioneEssendoci sostanzialmente quasi solo la parte del basso continuo, ho arricchito la tessitura, e abbiamo fatto pochi tagli solo per rendere lo spettacolo più fluido e comprensibile».

La scelta del cast vocale è molto importante per la sua riuscita.

«Per la prima volta a Milano ho ottenuto il cast che ritengo sia più idoneo, senza cedere al grottesco di una Linfea maschile o di un Giove/Diana grottesca. Questo mi sembra molto importante perché per esempio nelle versioni discografiche le parti  della ninfa non sono affidate a un soprano come nella partitura, ma a un tenore. Inoltre la parte di Giove/Diana spesso è affidata allo stesso interprete che canta in falsetto, ma per me è chiaro, come d’altronde appare nel manoscritto, che deve essere  Diana a cantare il travestimento di Giove. In questo modo rende Calisto meno stupida e più verosimile, perché un Giove che si traveste da Diana cantando in falsetto, rovina la musica e la drammaticità dell’opera. Naturalmente ci vuole un interprete all’altezza per rendere tutto questo credibile… Anche Endiminione viene ingannato dal travestimento, e si tratta quindi di una necessità drammaturgica. Tra i cantanti c’è che ha già cantato musica antica, e chi no, quindi alcuni vanno guidati verso questo stile particolare, ma c’è un atteggiamento generale molto positivo. Le loro voci sono bellissime».

L’Orchestra del Teatro alla Scala suonerà strumenti d’epoca?

«L’hanno già fatto con il Giulio Cesare di Handel, e mi hanno chiesto di integrare nel nostro ensemble alcuni strumentisti, per l’esattezza cinque violini, due viole e un contrabbasso, e dunque la dimensione cameristica dell’orchestra è rispettata. Ma ci sarà un continuo piuttosto ricco, fatto da cembalo, organo, regale, tiorbe, chitarre barocche, un arpa e un lirone. Tutto questo per creare una tavolozza timbrica ricca».

In quali punti dell’opera risalta particolarmente il genio musicale di Cavalli?

«Tutte le arie della Calisto sono particolarmente curate e affascinanti per la vocalità e la plasticità delle linee del canto. Anche il duetto fra Endimione e Diana alla fine del terzo atto è meraviglioso, e comunque tutte le arie di Endimione sono bellissime, e in particolare i lamenti. Si tratta della stessa tessitura che troviamo per il ruolo di Ottone nella Incoronazione di Poppea di Monteverdi. È lo stesso tipo di espressione. Anche Giunone nel terzo atto ha un aria strofica di una bellezza incredibile in cui parla della posizione della donna nella società, dicendo che dovrebbe ribellarsi al patriarcato e tutto questo è molto moderno e attuale».

Come sarà la regia di David McVicar?

«Il regista non ha voluto insistere sull’aspetto “politico” e ha preferito rispettare l’estetica dell’opera, ma ha scelto di dare risalto alla figura di Endimione che guarda le stelle. Sulla scena ci sarà un grande telescopio e in fondo il prologo può essere letto come un riferimento alla rivoluzione di Galilei e Copernico. Non siamo esattamente nel Seicento ma ci sono allusioni d’epoca, con riferimenti a quel periodo storico  senza che questo sia troppo letterale.  McVicar ha cercato di cogliere lo spirito dell’epoca ma senza compiere una ricostruzione letterale del barocco veneziano. Questo mi sembra molto importante. Ci sarà la possibilità di immaginare e sognare… ».

Chen Reiss (foto Paul Marc Mitchell)
Chen Reiss (foto Paul Marc Mitchell)

La ninfa protagonista dell’opera sarà interpretata dal soprano Chen Reiss che da qualche settimana è a Milano per le numerose prove che vengono effettuate rispettando le norme di sicurezza imposte dalla pandemia, come racconta in questa intervista racconta.

Come procedono le prove?

«Adesso stiamo cantando con la mascherina, ma prima era ancora più difficile perché i teatri erano chiusi e non potevamo lavorare. Abbiamo fatto alcuni concerti in streaming in teatri vuoti, ma ora per fortuna possiamo cantare in presenza del pubblico. Ora stiamo provando in teatro con le mascherine Ffp2 ed è complicato, perché la voce non vola ed è difficile cantare così, ma facciamo il massimo per salvaguardare la salute».

È la prima volta che interpreta un’opera del Seicento?

«No, ho già cantato Monteverdi anche se diversi anni fa, ma Cavalli è differente e richiede un intenso lavoro di preparazione, perché quest’opera non si esegue spesso. Per quasi tutti noi è un debutto, ed è molto importante avere il tempo di sviluppare il carattere del personaggi, perché questo stile è differente da quello degli altri compositori barocchi. Mi capita di cantare spesso Vivaldi e Handel, ma è la prima volta che mi misuro con questo compositore. È molto importante che questo gioiello del barocco italiano si faccia a Milano, anche perché Cavalli ha contribuito molto allo sviluppo dell’opera. Inoltre il libretto è un vero capolavoro. Quando ho cominciato a studiare l’opera ho iniziato dal libretto e sono rimasta meravigliata e stupita dalla bellezza della poesia di Faustini, dalla ricchezza della lingua, e dal registro letterario dei personaggi.

È una lingua molto sensuale, piena di doppi sensi, e credo che al tempo in cui quest’opera è stata concepita il pubblico doveva divertirsi moltissimo apprezzando  questa poesia. In fondo parla di cose che sono molto avanzate, come l’infedeltà matrimoniale, l’abuso di potere,e così via. Qualcuno poterebbe pensare che si tratti di una commedia, ed è vero che ci sono scene comiche, ma Faustini e Cavalli parlano di cose che hanno a che vedere con la condizione umana, e hanno criticato in modo molto sottile e allusivo l’abuso di potere della chiesa e questo è stato molto coraggioso. Parlare di Giove che abusa di una giovane con l’inganno è imperdonabile. Dunque non è una commedia, ed è molto attuale. Gli spettatori di oggi dovrebbero venire a scoprire che in un’opera di quattrocento anni fa ci sono elementi di grande attualità».

Chi è Calisto?

«Lei è una ninfa della caccia, piena di energia come un atleta, ed è un personaggio forte. La sua forza viene dalla sua devozione verso Diana e dal voto di castità, perché è completamente innocente, ed è per questo che la sua caduta è così brutale. Afferma di voler rimanere verginella, e ha un forte senso morale, ma dopo aver scoperto la sensualità diventa una donna, e il suo personaggio cambia, diviene più femminile, ma allo stesso tempo esprime il suo grande dolore, e anche la rabbia perché non capisce per quale motivo sia stata cacciata da Diana. Così perde Diana, le altre ninfe, l’onore e la sua identità. L’inganno di Giove è veramente brutale nei confronti di questa ninfa devota, ma Giunone invece di punire Giove punisce Calisto e questo è molto triste. Nel terzo atto il personaggio si sviluppa e la sua figura è straordinaria poiché invece  Calisto perdona Giove anche se ha perso tutto, persino il suo corpo umano perché è diventata un orso, ma ha un animo grande, e ha dimensione molto spirituale».

Le opere del Seicento e in particolare quelle di Cavalli richiedono una vocalità particolare.

«Tutto proviene dal testo e dal rapporto tra il dramma e la musica, che dipinge le parole. Quando senti i cantanti puoi immaginare la scena, per via del rapporto molto stretto tra il testo e la musica. C’è un ritmo già nella poesia, che si deve cantare senza portamenti, in modo per così dire “strumentale” con emozione, e con una dizione molto chiara. Calisto ha un’aria con molte colorature che richiede una voce agile, ma Cavalli offre al cantante un grande spettro espressivo. All’inizio la musica è solare, luminosa, ma in seguito prevale il dolore e diviene più scura, con molte dissonanze. Il suo linguaggio musicale è molto avanzato. Nella musica barocca conto molto l’espressività, al di sopra della bellezza del canto».

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