La bacchetta che cambia tempo
Com‘è cambiata la figura del direttore d’orchestra dalla nascita del gdm
08 ottobre 2025 • 5 minuti di lettura
Herbert von Karajan, Leonard Bernstein, Sergiu Celibidache, Georg Solti, Carlos Kleiber, Carlo Maria Giulini, Lorin Maazel, Kurt Masur, Colin Davis: l’elenco dei grandi direttori che ci hanno lasciato da quando è nato il gdm potrebbe ancora continuare a lungo. Figure mitiche dal carisma quasi religioso la cui scomparsa ha segnato una trasformazione profonda, sospesa tra tradizione e innovazione, tra autorità carismatica e leadership condivisa. In questi ultimi quarant’anni, abbiamo assistito a una transizione da un mondo nel quale il podio era dominio quasi esclusivo di figure austere e autoritarie a quello contemporaneo nel quale la comunicazione, la psicologia e anche la tecnologia hanno democratizzato la professione del direttore d’orchestra e assegnato il ruolo di primus inter pares. O quasi.
Negli anni Ottanta il direttore era una figura quasi sacerdotale, unico detentore della verità interpretativa. Il rispetto era assoluto, l’autorità difficilmente messa in discussione. Principali strumenti di comando erano il carisma personale combinato con la profonda conoscenza del repertorio, trasmesso tramite prove estenuanti imposte all’orchestra.
Scomparse le grandi bacchette del passato, la professione ha iniziato a cambiare. Non solo per quello, ovviamente. La globalizzazione non ha risparmiato nemmeno il mondo musicale allargando gli orizzonti ben oltre il recinto eurocentrico. Allo stesso tempo si è assistito a un’autentica esplosione della diffusione della musica grazie alla tecnologia, dal vinile ai supporti digitali fino alla sua “liquefazione” complice lo streaming di YouTube e confratelli, esploso negli anni recenti della pandemia. Il pubblico si è enormemente allargato e così la concorrenza fra orchestre che si sono moltiplicate come le opportunità per giovani direttori di trovare spazi anche al di fuori dei tradizionali centri culturali europei e statunitensi.
Contemporaneamente, il repertorio si è ampliato imponendo un certo grado di specializzazione alle orchestre e agli stessi direttori. Se fino a qualche decennio fa il repertorio sinfonico si estendeva dagli ultimi decenni del Settecento ai primi del Novecento, oggi gli estremi si sono allargati dal Seicento al contemporaneo, non più confinato in riserve per i soliti pochi pionieri. Non solo. Un mondo musicale più plurale e un pubblico più stratificato e diverso hanno imposto contaminazioni e repertori tradizionalmente poco esplorati con la conseguenza che le qualità richieste al direttore d’orchestra oggi sono una maggiore flessibilità, competenze culturali trasversali e apertura mentale oltre alla capacità di dialogare con orchestre tecnicamente più solide e pubblici più ampi. Non è un caso che in questi anni si sia sviluppata una maggiore attenzione alla didattica e alla comunicazione, divenute strumenti essenziali a complemento del momento collettivo di fruizione dell’evento musicale. Il direttore d’orchestra ha quindi via via dismesso i paramenti sacri e il carisma personale per vestire quelli del divulgatore, dell’in/formatore e del mediatore culturale.
In questo senso, la parabola dei Berliner Philharmoniker e dei suoi direttori musicali è emblematica: dopo l’autocrazia di Herbert von Karajan, dal 1954 con incarico a vita fino alle dimissioni per motivi personali poco prima della sua scomparsa nel 1989, l’orchestra abbraccia la “democratizzazione” anche repertoriale di Claudio Abbado, che insegna all’orchestra l’arte di ascoltarsi e suonare insieme come in un ensemble di musica da camera. E dopo le sue inattese dimissioni nel 2002, l’orchestra si affida a Simon Rattle, personalità mediatica e grande sostenitore di progetti didattici fino ad allora sconosciuti all’orchestra berlinese, che nel frattempo investe su una piattaforma digitale puntando di fatto a un pubblico globale che superi le pareti irregolari della Philharmonie berlinese. Ultimo passaggio nel 2019, quando l’orchestra sceglie Kirill Petrenko, simbolo di uno stile di leadership più intonato ai nostri tempi. Il modello autoritario tramonta e si impone una conduzione maggiormente collaborativa. L’autorità si conquista sul campo, attraverso il dialogo e la capacità di motivare l’orchestra, piuttosto che imposta dall’alto del podio. La figura del direttore tirannico, temuto e osannato, lascia spazio a quella di un leader empatico e competente, capace di costruire un clima di fiducia.
Segno dei nostri tempi è anche una maggiore sensibilità verso le questioni di genere e di inclusività. Se negli anni Ottanta le donne sul podio erano pochissime e spesso osteggiate da chi considerava la professione appannaggio esclusivamente maschile come maschile continua ad essere il termine “direttore d’orchestra” nel linguaggio comune. Ma le cose cambiano. I casi di Nadia Boulanger o della veterana ma ancora attivissima Marin Alsop non sono più isolate stravaganze. Anche nel nostro Paese, non proprio un esempio di progressismo e apertura nel mondo delle Arti, molte donne hanno occupato e occupano posizioni di leadership in importanti orchestre, da Xian Zhang, direttore musicale dell'Orchestra Sinfonica di Milano tra il 2009 e il 2016, a Oksana Lyniv, dal 2021 direttrice musicale dell’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna, a Gianna Fratta, dal 2021 direttrice artistica dell’Orchestra Sinfonica Siciliana.
FINALE PRIMO (sul futuro distopico)
E il futuro? Inevitabilmente anche la professione del direttore d’orchestra sarà sempre più intrecciata con temi globali: la sostenibilità ambientale dei progetti artistici, la digitalizzazione dei processi creativi, l’inclusione sociale attraverso la musica. E nemmeno il mondo della musica è immune all’impetuoso sviluppo delle frontiere più avanzate dell’informatica. Già si sperimentano soluzioni in realtà aumentata per la direzione da remoto (un orrore?), oppure concerti sincroni in più città del mondo tramite streaming ad alta fedeltà, popolari durante la pandemia e per ora solo esperimenti. E non è escluso che l’intelligenza artificiale possa diventare un supporto prezioso nell’analisi delle partiture, nella pianificazione delle prove, nella personalizzazione delle interpretazioni.
Dal demiurgo onnipotente degli anni Ottanta al mediatore culturale iperconnesso di oggi arriveremo presto a un direttore transumano sul podio? Il gdm è pronto a raccontare anche la rivoluzione prossima ventura.
FINALE ALTERNATIVO (sull’oggi)
Dal demiurgo onnipotente degli anni ’80 al mediatore culturale iperconnesso di oggi, la figura del direttore d’orchestra ha conosciuto una metamorfosi che riflette le grandi trasformazioni della società. Se da un lato la sua autorità si è fatta meno dogmatica, dall’altro si è arricchita di nuove competenze, nuove sfide, e nuove possibilità. In un mondo sempre più veloce e frammentato, la bacchetta continua a cercare l’armonia, dentro e fuori dal podio.