Violetta in stile Liberty
Verdi al Teatro Massimo Bellini di Catania
Il sipario del Teatro Massimo Bellini sembra aprirsi, per questa Traviata, là dove si era chiuso per la Rondine inaugurale in gennaio: un’ambientazione belle-époque, quella disegnata a suo tempo da Mario Pontiggia (con scene di Francesco Zito e Antonella Conte, costumi di Zito, movimenti di scena di Giuseppe Bonanno) per il Teatro Massimo di Palermo, città – sembra – citata esplicitamente nella scenografia, soprattutto negli arredi in stile Ducrot. L’ambienza, progressivamente, si riduce a pochi elementi d’interno, fino al letto campeggiante entro tendaggi rossi nel terzo atto: in effetti, i più appariscenti elementi precedenti sono poco più che una sollazzevole variante per l’occhio, agendo personaggi e gruppi più o meno come in qualsiasi altra Traviata, e perfino rimpiangendosi i movimenti ordinari nei pochissimi punti in cui sul palco si abbozza qualche prossemica più disinvolta (ad es. l’improvvido accenno di ballo moderno – un rag? un foxtrot? – di alcuni componenti nel corso del coro d’uscita nel 1° atto).
In primo piano è così venuta la prova vocale degli interpreti, in testa la notevolissima Violetta di Daniela Schillaci: grandi sicurezza tecnica e proiezione-appoggio del suono, fraseggio nitido, ottima capacità di contrasti nell’emissione (ora morbida ora scultorea) e nelle dinamiche, profonda carica espressiva e scenica. L’Alfredo di Javier Palacios ha fatto meglio in arie-ariosi che nel recitativo, comunque si è discretamente difeso. Piero Terranova è stato molto bravo nell’indirizzare la sua performance vocale al plasmarsi scenico-attoriale di un Giorgio Germont di rilievo e di verità scenica. Il Gastone di Riccardo Palazzo è forse l’unico personaggio a proiettare nelle movenze una spigliatezza fin-de-siècle, mediandola bene al contesto e a una vocalità brillante. Positiva la prova degli altri, a partire da Sabrina Messina (Flora) e Angelo Nardinocchi (Douphol), fino agli interventi del resto del cast.
Il Coro preparato da Gea Garatti Ansini, coi suoi colori modulati ed enfatizzati al meglio – ad es. nella mezza-voce delle zingarelle – si è fatto apprezzare, pur in una situazione sotto-organico, più dell’Orchestra del Teatro Massimo Bellini guidata da Jordi Bernácer, che ha dispensato momenti accattivanti accanto ad altri ritmicamente faticosi. Il pubblico ha riempito la sala ed applaudito con convinzione fino all’ultima replica, che però rischia di essere anche l’ultima recita della stagione: il Teatro continua a paventare un taglio molto consistente del finanziamento regionale, ovvero la porzione più consistente del bilancio; per il prossimo Andrea Chenier, l’interrogativo non verterà su quale scena si aprirà il sipario, ma se il sipario si alzerà o no.
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