A Venezia doppio appuntamento con Schiff 

Il pianista regala una preziosa serata tutto Bach e chiude la stagione sinfonica del Teatro La Fenice come solista in Beethoven diretto da Myung-Whun Chung 

Schiff e Chung alla Fenice
Schiff e Chung alla Fenice
Recensione
classica
Venezia, Teatro La Fenice
András Schiff alla Fenice 
05 Luglio 2019 - 06 Luglio 2019

Prima della pausa estiva, che coincide anche con la conclusione della stagione sinfonica del teatro, il Teatro La Fenice regala al proprio pubblico due concerti d’eccezione con il pianista András Schiff protagonista assoluto. 

Per il ciclo cameristico di Musikámera, il sessantacinquenne pianista di origine ungherese e cittadino britannico dal 2001 torna a Bach, presenza costante nel suo fare musica, e in particolare alle sei Partite per tastiera, una delle pagine più frequentate nella sua lunga carriera di interprete e già oggetto di due registrazioni, nel 1983 per Decca e nel 2009 per ECM, l’etichetta bavarese di Manfred Eicher che sponsorizza i due concerti veneziani di Schiff in occasione dei 50 anni dalla fondazione (Schiff fa parte della scuderia ECM dal 1999). Secondo Schiff, la sei Partite “sono disegnate per essere al contempo enciclopediche, erudite ed istruttive”. Ma nonostante il loro carattere “teorico”, formano un programma da concerto ideale, anche se lungo, perché, a dire del pianista, “la musica di Bach riesce in ogni occasione a forgiare un legame intimo fra esecutore e pubblico”. 

Esperienza che si conferma anche nel lungo concerto veneziano, che supera di poco le tre ore, comprendendo una pausa meno di mezz’ora e due bis bachiani (l’Allegro iniziale del Concerto italiano e il tema principale delle Variazioni Goldberg). Schiff arriva con un incedere quasi ieratico, si accosta alla tastiera quasi con pudore, ha spesso gli occhi chiusi (la partitura è ormai parte della sua sapienza pianistica), ma dimostra tecnica infallibile e ammirevole fluidità nel gesto pianistico oltre a un sorprendente equilibrio nell’attraversare i vari generi, gusti e sfide tecniche disseminate da Bach nella sua suite/catalogo di danze. Come nella registrazione ECM, Schiff segue la sequenza 5, 3, 1, 2, 4, 6 ossia una sua riclassificazione armonica che alterna modi maggiori e minori e, nella successione armonica di sol maggiore, la minore, si bemolle maggiore, do minore, re maggiore, fino al mi minore dell’ultima Partita, impone un ordine tonale ascendente più funzionale al formato del concerto. Considerazioni teoriche a parte, Schiff fa sfoggio di quella semplicità che si raggiunge solo attraverso la frequentazione lunga una vita e la consapevolezza di chi, come lui, conosce la musica del “padre originario dell’armonia” fin nelle pieghe più recondite. E, nonostante più di spettatore preferisca la fuga (non bachiana) all’intervallo, il legame intimo fra Schiff e il pubblico si conferma anche in questo appuntamento veneziano. 

Si ferma nell’alveo dei grandi classici tedeschi anche l’ultimo concerto del cartellone sinfonico dell’Orchestra del Teatro La Fenice, il terzo diretto da Myung Whun-Chung dopo quello inaugurale e l’appuntamento mahleriano: in cartellone Ludwig van Beethoven e Johannes Brahms. Anche nel Quarto concerto per pianoforte di Beethoven, il solista András Schiff arriva all’appuntamento in pieno controllo stilistico come per Bach grazie alla lunga frequentazione con la scrittura del compositore di Bonn (fra l’altro, Schiff ha alle spalle l’esecuzione completa delle sonate beethoveniane completata nel 2006, spesso accompagnate da illuminanti lezioni). Per quello che è generalmente considerato come il più tecnico dei cinque concerti beethoveniani, Schiff insiste proprio sullo sfoggio di una tecnica impeccabile e fluidissima nei due movimenti estremi (scintillante la seconda cadenza del primo movimento), piuttosto lontani dalla tradizionale retorica imperiosa anche nella linea direttoriale di Chung, e di un tocco di sognante leggerezza nel breve movimento centrale. Risposta calorosa del pubblico ricambiato da Schiff con due bis (un insolito Strauss e un incantevole Schubert). 

Seconda parte consacrata a una vigorosa esecuzione della Quarta sinfonia di Brahms. La malinconia brahmsiana appartiene poco alla visione di Chung, che sembra piuttosto incline a presentare un Brahms fortemente sbalzato e solidamente ancorato alla tradizione sinfonica di area germanica. Più che nei movimenti estremi in tonalità minore, è nei movimenti centrali e soprattutto nel radioso Allegro giocoso del terzo movimento che si impone la linea direttoriale di Chung. Ancora una volta, quando sul podio sale il direttore coreano, l’Orchestra del Teatro La Fenice sembra in stato di grazia. In questo Brahms, colpiscono soprattutto compattezza e densità fonica degli archi e l’agile disegno dei legni.

Teatro esaurito, applausi calorosi e numerose chiamate. 

 

 

 

 

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