Venaria: Vivaldi per vibrafono

Prima esecuzione italiana del riarrangiamento di Andrei Pushkarev delle Quattro Stagioni

Equipaggio della Regia Venaria
Equipaggio della Regia Venaria
Recensione
classica
Venaria, Cappella di Sant’Uberto, Torino
Le Quattro stagioni di Vivaldi
30 Maggio 2024

Dal 30 maggio al 2 giugno la Reggia di Venaria ospita la seconda edizione del Late Spring Music Festival. La rassegna, ideata da Claudio Pasceri, si propone di far dialogare i luoghi della Reggia con musiche che vanno dal periodo Barocco ai nostri giorni, con contaminazioni e rimandi tra l’antico e il moderno: un’ideale trasposizione musicale della tradizione culturale di una Reggia che nei propri spazi juvarriani accoglie da tempo creazioni di artisti contemporanei.

 

La rassegna si è aperta nella cappella di Sant’Uberto, dentro la quale l’Equipaggio della Regia Venaria – ensemble di corni da caccia – ha accolto il pubblico, mezz’ora prima dell’inizio del Concerto di apertura, con fanfare di venèrie e arie suonate a intervalli regolari, per un benvenuto dal rinvigorente sapore haydniano.

 

In programma per il concerto di apertura c’erano Le Quattro Stagioni di Vivaldi riarrangiate per vibrafono e orchestra d’archi da Andrei Pushkarev, anche esecutore al vibrafono, mentre i membri dell’orchestra d’archi provenivano dall’Orchestra Filarmonica del Teatro Regio.

 

Cos’avevano di speciale l’arrangiamento e l’esecuzione? Che invece della consueta dialettica tra soli e tutti con cui siamo abituati a pensare la struttura dei quattro Concerti, proponevano un’affascinante dialettica tra il perdersi e il trovarsi. La parte solistica, pensata per gli scatti delle dita sul violino, eseguita sul vibrafono acquistava una dimensione incorporea, eterea, come di un soffio che amalgama i suoni e li disperde nell’aria, senza che tu sia sempre in grado di distinguerli chiaramente; singoli strumentisti puntellavano poi la rêverie con effetti d’atmosfera; e al testo vivaldiano Pushkarev ha apportato modifiche e forse improvvisazioni, traboccando in alcuni momenti nel groove di stili distanti dal Barocco, con il passo divagante di una musica che fluttua dove il sogno le suggerisce.

 

Poi entrava l’orchestra d’archi e ti ritrovavi, la sua compattezza e aderenza al testo ti riportava a terra, e con questa alternanza di poli percorrevi le Stagioni. Durata complessiva: quasi un’ora (a fronte dei quaranta minuti che in media occupano i quattro Concerti). L’idea di far piacevolmente perdere l’ascoltatore con una musica come questa, in cui è impossibile perdersi, che tutti sappiamo a memoria, che è una delle più suonate e riprodotte, che è la preda favorita dell’immaginario indifferenziato post-contemporaneo sulla “musica classica”, e di cui insomma siamo saturi, ha qualcosa di piuttosto geniale come soluzione di ascolto per dimostrarci che è possibile godere, ancora, delle Quattro Stagioni.

 

 

 

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