Un'opera al femminile

Recensione
classica
Wiener Staatsoper Vienna Wien
Leos Janacek
01 Giugno 2002
Questo allestimento della Jenufa di Leos Janácek, una coproduzione della Wiener Staatsoper e della Janácek-Opera di Brno, era stato presentato per la prima volta lo scorso febbraio. Pur trattandosi della settima replica, però, l'atmosfera della serata e l'aspetto qualitativo dello spettacolo erano paragonabili a quelli di una 'prima', come se bastasse un cast eccezionale (Seiji Ozawa alla testa dell'orchestra; Agnes Baltsa e Angela Denoke nelle due principali parti femminili) a far rivivere questo clima, facendo dimenticare completamente quello stato di routine che, altrimenti, domina nei teatri di tradizione quasi tutte le sere. L'allestimento rende in maniera immediata gli intenti della poetica operistica di Janácek, in cui 'realismo' e 'visione' convivono sotto lo stesso tratto drammatico: Le luci, quasi abbaglianti e algide, illuminano la scena come se questa fosse il tavolo di una sala operatoria nella quale vengono sezionati i drammi personali dei protagonisti. La scenografia è semplice, geometrica, astratta e monocroma e viene resa ancora più statica dalla quasi costante illuminazione. Gli attori adeguano i movimenti a questo scenario. Il gesto deve essere minimale, perché il tormento e la disperazione si esprimono nella loro naturalezza nel canto e nella musica. La Baltsa sembra avere interiorizzato perfettamente questo messaggio e il suo personaggio, che ricordiamo non è la figura centrale dell'opera, catalizza nel suo pacato gesto drammatico tutto il dilemma umano e sociale dell'opera. Di fronte a questa chiarezza espressiva, i movimenti accentuati con ampio uso di smorfie e contorsioni del corpo - di alcuni personaggi maschili alla ricerca di intensificazione drammatica sono risultati goffi e, a volte, un po' ridicoli. Nello struggente dialogo drammatico tra i due personaggi femminili nel secondo atto predomina ed emerge in tutta la sua forza quella purezza canora e gestuale che fa comprendere come Janácek intendesse anticipare la 'modernità', senza rinnegare il 'realismo' ottocentesco. Splendida la resa dell'orchestra, che ha prestato molta attenzione alla cura del suono e all'ammorbidire quei peculiari virtuosismi strumentali ed orchestrali di Janácek, che eseguiti superficialmente e senza badare alle sfumature dinamiche avrebbero intralciato e coperto le voci. L'inserto così violento di elementi folcloristici nella regia (costumi caratteristici moravi, danze popolari, scene di massa, ecc.) ci è parso invadente. Il realismo di Janácek è, infatti, fenomeno quasi sociale, simile al verismo italiano, ma non pretesto per sfoggi coloristici e kitsch, qui contestualmente fuori luogo. Questa produzione ci è parsa il migliore risultato dell'annuale stagione operistica viennese (oramai quasi giunta a termine), e non ci resta che attendere la prossima 'prima'.

Note: Prima rappresentazione di questo allestimento: Vienna, Wiener Staatsoper, 24. febbraio 2002.

Interpreti: Anny Schlemm, Jorma Silvasti, Torsten Kerl, Agnes Baltsa, Angela Denoke, Wolfgang Bankl, Walter Fink, Helene Ranada, Renate Pitscheider, Stella Grigorian, Cornelia Salje, Ileana Tonca, Waltraud Winsauer

Regia: David Pountney

Scene: Robert Israel

Costumi: Marie-Jeanne Lecca

Corpo di Ballo: Corpo di ballo della Wiener Staatsoper

Coreografo: Renato Zanella

Orchestra: Orchestra della Wiener Staatsoper

Direttore: Seiji Ozawa

Coro: Coro della Wiener Staatsoper

Maestro Coro: Ernst Dunshirn

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