Una volpe malinconicamente astuta

Spettacolo di grande raffinatezza e vivacità, leggermente in contrasto con una interpretazione musicale che privilegia l'aspetto malinconico e lirico della partitura.

Recensione
classica
Teatro alla Scala Milano
Leos Janacek
14 Giugno 2003
Opera dolcissima, piena di meraviglie, di malinconie e di sogni, "La piccola volpe astuta" può essere letta come una fiaba filosofica sul ciclo dell'esistenza e sulla fugacità del tempo. L'animazione continua di un bosco brulicante di vita, indifferente al compiersi dei singoli destini vi si rivela in un contrasto solo apparente con la sorpresa e la smagata saggezza con cui un uomo si volta a contemplare i palpiti, le speranze e la fatica del cammino percorso, ormai prossimo alla fine. La storia non si chiude con la morte, ma con lo stupore; l'uomo vede davanti a sé l'agilità di una piccola volpe, immagine luminosa del proprio passato, ma un freddo ranocchio gli ricorda che un cerchio si è già chiuso, e che mille altri attendono di aprirsi. A sostenere questa fiaba senza morale una musica tra le più dolenti e meravigliose che il Novecento ci abbia regalato: una viaggio di apprendistato tra le emozioni, lancinante e consolatorio al tempo stesso. Per chi porta in scena tutto questo, la scommessa è quella di mantenere questo perfetto equilibrio tra la saggezza e l'abbandono, la sorpresa, la nostaglia e la pura vitalità. L'ormai classico allestimento di David Pountney centra in buona parte l'obiettivo: lo spettacolo si svolge interamente sugli scoscesi pendii di un bellissimo paesaggio collinare in veduta aerea, pezzato dai differenti colori di coltivazioni e boscaglie; il contrasto tra questa visione panoramica e i personaggi che vi si muovono sopra correndo, saltando e ballando è di una vivacità ammirevole. Le ambientazioni "umane" (casa del guardiacaccia e locanda), sono ricavate dall'aprirsi di questo grande scenario, che da luogo a un ambiente chiuso e dal senso vagamente sotterraneo. Non ci si stancherebbe mai di guardare i costumi di Maria Bjørnsson, fantasiosissima reinterpretazione in chiave latamente umana dei caratteri animali; così il pullover a rombi rossastri della volpe maschio, il cappello con le lunghe orecchie pendenti del cane Lapak, l'abitino corto stile charleston della volpe Bystrouska (con il boa a raffigurare la coda), sono solo alcune delle mille sorprese tra le quali l'occhio non sa dove fermarsi. L'inconveniente è che talvolta la grande vivacità della regia, sostenuta dalle luci calde e curate di Nick Chelton e dalle coreografie vagamente musical di Stuart Hopps, allontani un po' lo spettatore dall'aspetto fortemente malinconico di molte pagine dell'opera. Il che crea anche un accentuato contrasto con la direzione di Andrew Davis, che propende fortemente per il versante lirico della partitura, e trascura talvolta le pagine più vitalistiche e musicalmente compatte, sostenuto benissimo in questa visione dall'orchestra della Scala con i suoi archi vellutati, che solo a tratti manifestava qualche sporcizia nei tratti più complessi e virtuosistici (specie tra legni e ottoni). I compositori che più spesso venivano alla mente erano, per diversi motivi, Strauss e Puccini (ma a volte persino Bruckner); molto meno Bartók, Mahler o Ravel. Alan Opie delicato e sensibile, era il Guardiacaccia ideale per questa interpretazione, con i suoi accenti vibranti e malinconici; più vicina all'impostazione della regia la straordinaria Bystrouska di Rosemarie Joshua, che si muoveva sullo scosceso palcoscenico con una naturalezza e una vivacità "animale" ammirevoli, perfettamente seguita dallo sposo Zlatohrbitek della brava Anna Katharina Behnke. Tutte di ottimo livello le altre parti, tra cui spiccavano il magnifico Parroco di Laszlo Polgar, il Maestro di Ian Thompson e la Moglie del Guardiacaccia di Sim Tokyurek. Uno spettacolo appassionante e curato, salutato con gradissimo calore dal pubblico in sala.

Interpreti: Rosemarie Joshua, Elisabeth Alan Opie, Anna Katharina Behnke, Sim Tokyurek, Ian Thompson, Laszlo Polgar, David Wakeham, Beatrice Palumbo, Ernesto Panariello, Luigi Roni, Davide Livermore

Regia: David Pountney -Luci: Nick Chelton

Scene: Maria Bjørnsson

Costumi: Maria Bjørnsson

Coreografo: Stuart Hopps

Direttore: Andrew Davis

Maestro Coro: Bruno Casoni

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