Una "Vedova" più bersagliera' che allegra

Recensione
classica
Festival Internazionale dell'Operetta Trieste
Franz Lehár
14 Luglio 2001
Quasi a contrastare la limitatezza della messinscena dello "Zingaro barone", allestito una quindicina di giorni fa come spettacolo inaugurale del Festival Internazionale dell'Operetta di Trieste, l'attesissima "Vedova allegra", secondo titolo offerto dal cartellone del Teatro "Verdi", è stata risolta sul piano estetico mediante una ricetta, seppur tradizionale, valida ed efficace. L'ambientazione scenografica e i costumi ideati da Ivan Stefanutti sono apparsi sontuosi e sfavillanti. Gino Landi, che ha firmato la regia e le coreografie (con uno splendido e sulfureo inserto ballettistico, nel terzo atto, estrapolato dal Gaité Parisienne di Offenbach), ha compiuto un'opera magistrale di incanalamento del tutto, quasi a bilanciare le assai scarsamente incisive rese vocali del cast. Da una trama sonora volatile e trasparente, traboccante di grazia inquietante, ci si aspetterebbe che gli affidatari dei ruoli di Anna Glawari e di Danilo Danilowitsch ne cavassero malie. Tuttavia nulla di tutto ciò è accaduto. La preventivata protagonista Antonia Brown è stata sostituita all'ultimo momento da Maria Pia Jonata che, nel tentativo di fare del suo meglio, ha prestato i suoi modestissimi mezzi vocali alla "Vedova": piuttosto gorgogliante, più che vibratile e aggraziata, la Jonata ha sfoderato pure una serie di acuti che risultavano schiacciati e talora 'urlati'. Insomma la malia della "Vedova" era totalmente assente. Quando la resa vocale non è ineccepibile e la protagonista non è munita di doti canore tali da evocare e far rimpiangere non dico le nobili e superlative prove della Sills o della Schwarzkopf (probabilmente pretenziose al giorno d'oggi), ma almeno le prodezze e lo stile corretto di Daniela Mazzuccato (storica "Vedova" italiana), l'effetto diventa piuttosto caricaturale, se non da avanspettacolo. Un lavoro come questo fa leva soprattutto sulla Glawari e il Conte Danilo. Del resto anche il Danilo di Alessandro Safina, aitante giovane ben noto nell'agone operettistico (un gruppetto di estimatori lo ha raggiunto appositamente dall'Olanda qui a Trieste), non ha brillato. La sua voce, incerta tra timbri baritonali e tenorili, si 'libra' intubata: più che 'cantare' il Safina pare destinato ad 'accennare' le arie che gli spettano. Se infelici, sbiadite e inadeguate sono parse le figure dei due protagonisti, difendevano con decoro i propri ruoli il soprano leggero Donata d'Annunzio Lombardi (Valencienne) e il tenore Giorgio Casciarri (de Rossillon), in possesso di una bella voce, gli unici due cantanti 'autentici' della compagnia. Brillantissima ed effervescente l'esibizione di Gianfranco Jannuzzo, attore di teatro assai duttile, calatosi nel ruolo del factotum Njegus, per l'occasione dalla parlata 'sicula' venata di battute esilaranti e di doppi sensi, dettati lì per lì dall'immaginazione e dalla prontezza del bravo attore siciliano. Buone, tutto sommato, le prestazioni dei comprimari. L'orchestra governata dalla valida bacchetta di Wolfgang Bozic ha impresso mobilità e flessibilità alla vicenda musicale. Tuttavia l'evidente sforzo di investire in mezzi scenografici (apprezzatissimi dal pubblico plaudente) strideva dunque con la scelta infelice dei due interpreti principali, che avrebbero dovuto reggere le sorti della bella partitura di Lehár. Ma non tutte le ciambelle riescono col buco. Qualche inatteso squillo di cellulare in sala è intervenuto qua e là! Teatro gremito e prime comparse pubbliche del nuovo cambio della guardia politico cittadino. Alla fine caldi consensi.

Note: nuovo all.

Interpreti: Jonata, Safina, D'Annunzio Lombardi, Casciarri

Regia: Gino Landi

Scene: Ivan Stefanutti

Costumi: Ivan Stefanutti

Corpo di Ballo: Corpo di Ballo del Teatro Lirico "G. Verdi" di Trieste

Coreografo: Gino Landi

Orchestra: Orchestra del Teatro Lirico "G. Verdi" di Trieste

Direttore: Wolfgang Bozic

Coro: Coro del Teatro Lirico "G. Verdi" di Trieste

Maestro Coro: Ine Meisters

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