Una fiaba déco dalle tinte fauves

Inaugura con successo la stagione 2002 del Teatro San Carlo, Turandot di Puccini, presentata nell'allestimento di David Hockney e con la direzione di Gabriele Ferro.

Recensione
classica
Teatro di San Carlo Napoli
Giacomo Puccini
19 Gennaio 2002
La scelta di aprire la stagione 2002 del San Carlo con la ripresa della Turandot firmata da David Hockney per l'Opera di San Francisco, è stata felice ma non priva di problemi: il sollevamento del palcoscenico di circa un metro, per pareggiare il dislivello tra il fondo e la ribalta, oltre a creare un sgradevole effetto visivo, lascia piuttosto lontani i cantanti dal proscenio, creando una distanza eccessiva rispetto alla buca dell'orchestra, con tutti i difetti acustici che si possono immaginare. Il risultato complessivo però compensa ampiamente questi difetti, presentandoci una Turandot depurata di tutta l'insopportabile paccottiglia pseudo-cinese purtroppo ancora tanto diffusa, e restituita alla sua originaria dimensione di fiaba calata nella temperie della modernità. L'occhio è quello di uno dei maggiori pittori contemporanei e si vede: le mura della città imperiale e la reggia di Turandot appaiono in prospettive sghembe squadernate in verticale come nelle stampe di Hokusai e Hiroshige che piacevano tanto ai Nabis; la tenda del secondo atto viene trasformata in un fondale in cui i fregi orientali sono incastonati da un décor postmoderno; il giardino dell'inizio del terzo atto ci appare come un collage matissiano fatto di ombre nere e turchine destinate a cangiarsi magicamente nell'ultimo quadro in stilizzate e incandescenti silhouettes della reggia. Servita a dovere dai bei costumi di Ian Falconer, esaltata da un disegno-luci magistrale, la Turandot vista da Hockney è tutto un sfavillio di contrasti cromatici tra gamme di porpora e nero, verde acqua e amaranto, indaco e rosa, che fanno pensare ora alle lacche cinesi, ora all'Art Déco (di cui erano intrise le scene che Galileo Chini aveva concordato con Puccini per la prima assoluta ) ora ai Fauves. Dal canto suo la direzione di Gabriele Ferro - che governa ormai l'orchestra del San Carlo con grande disinvoltura - sembra trovarsi in linea con l'impronta visiva dello spettacolo, nel suo approccio tagliente e quasi divisionistico, volto a mettere in evidenza gli aspetti più innovativi della partitura pucciniana: un'intenzione che raggiunge interessanti risultati, soprattutto nel primo atto, anche se talvolta, complice la particolare disposizione delle scene di cui si è detto, dà luogo a qualche squilibrio nel rapporto tra le voci e l'orchestra. La buona prova del coro diretto da Ciro Visco, si è unita a quella di una compagnia di grande solidità. Nelle parti protagonistiche due interpreti pucciniani di notevole esperienza come Nicola Martinucci - un Calaf ancora di ottima presenza vocale anche se a volte un po' appannato negli acuti - e Giovanna Casolla, autorevole e granitica Turandot, seppur tendente ad un vibrato troppo largo. Ottima conferma è venuta da Norah Amsellem, fascinosa e sensibile nella parte di Liù, dal commovente Timur di Giorgio Giuseppini, e dai tre ministri, Fabio Previati, Gregory Bonfatti e Patrizio Saudelli, ( rispettivamente Ping, Pang e Pong), tutti e tre perfettamente a loro agio nel ruolo comico-grottesco ben evidenziato dalla regia di Hockney. Aldo Bottion (l'Imperatore), Carlo di Cristoforo (il Mandarino) completavano degnamente il cast. Calorosissimo successo per tutti.

Interpreti: Martinucci, Casolla, Amsellem, Giuseppini, Previati, Bonfatti, Saudelli, Bottion

Regia: David Hockney

Scene: David Hockney

Costumi: Ian Falconer

Orchestra: Orchestra del Teatro di San Carlo

Direttore: Gabriele Ferro

Coro: Coro del Teatro di San Carlo

Maestro Coro: Ciro Visco

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