Un successo per il Trittico di Puccini per la prima volta ad Amsterdam
Nell’anno del centenario si conclude all’Opera Nazionale Olandese la trilogia di opere pucciniane firmate del tandem Barrie Kosky alla regia e Lorenzo Viotti alla direzione d’orchestra
Nell’anno del centenario, con il Trittico giunge a compimento la trilogia pucciniana all’Opera Nazionale Olandese affidata al tandem Barrie Kosky e Lorenzo Viotti, varata due stagioni fa da Tosca e proseguita con Turandot . Nella sua ultima (per ora) incursione in territorio pucciniano, il regista recupera l’essenzialità sul piano figurativo di Tosca, temporaneamente abbandonata per le fantasmagorie visive di una Turandot non del tutto convincente.
Per quello che Kosky definisce “un pasto fatto di tre portate preparate e cotte dallo chef Puccini”, il tavolo resta lo stesso ma le pietanze sono servite in modo da esaltarne i sapori molto diversi con un dessert leggero a complemento dei due sapidissimi piatti che aprono questo menu sempre molto invitante. Nonostante la morte, declinata comunque in tre forme molto contrastanti, sia l’elemento comune ai tre atti unici e base possibile per un concetto registico “uno e trino”, la chiave unificante scelta da Kosky è invece tutta sul piano estetico e, come spesso nelle sue produzioni, risolta in un minimalismo di segno, che, assenti quasi del tutto le eccentricità registiche, dà massimo rilievo ad un attento lavoro di scavo psicologico e all’eccellente direzione attoriale fino ai ruoli minori dello sterminato cast.
Alla scenografa Rebecca Ringst vengono richiesti tre ambienti neutri (come neutri sono anche i costumi di taglio moderno di Victoria Behr), definiti da alte pareti di legno chiaro, molto funzionali alle luci affilatissime di Joachim Klein, e con soli pochi elementi caratteristici per descrivere i tre diversi ambienti: una struttura lignea a due piani per la chiatta di Michele e Giorgetta, un’altissima scala (invisibile) che taglia le due pareti a libro del convento di Suor Angelica, e un grande tavolo per il macabro banchetto di Buoso Donati, che schiatta spegnendo le 70 candeline sulla torta di compleanno servita dai parenti (i quali proprio sotto quel tavolo nascondono malamente il suo cadavere denudato mentre si consuma la beffa di Schicchi).
Se il Tabarro e soprattutto Gianni Schicchi restano gli episodi più riusciti di questo nuovo Trittico, visto per la prima volta nella versione completa ad Amsterdam, specialmente per il felice equilibrio fra coralità e ritratto pungente di ogni singolo personaggio, curiosamente Suor Angelica delude per “eccesso di sapidità”. Come se già non bastasse la gelida violenza delle parole della zia principessa a innescare la tragedia, Kosky si accanisce ancora più crudelmente sulla già sventurata protagonista, facendole consegnare dalla tremenda zia il ritratto del bimbo morto “senza la sua mamma” e perfino l’urna con le sue ceneri, che Angelica sparge su di sé al culmine del suo doloroso delirio, privato qui di ogni minima luce di speranza e lentamente sommerso in minacciose sagome neropece (la pece degli infernali Malebranche?).
Uno dei pregi maggiori di questa regia, fatta di poche sorprese e molte conferme, è senza dubbio il non togliere spazio alla musica, che nella sensibilissima direzione di Lorenzo Viotti trova il momento più alto della trilogia pucciniana di Amsterdam. Confermando un’affinità spirituale con il mondo musicale del Lucchese e con quello europeo del Novecento storico, di cui Giacomo Puccini è parte integrante (per i pochi che ancora nutrissero dubbi), Viotti con la complicità di Netherlands Philharmonic Orchestra in stato di grazia fa brillare la straordinaria ricchezza coloristica della palette pucciniana e la plasticità dei diversi paesaggi sonori scelti per i tre racconti. Viotti non spinge mai troppo sul pedale emotivo o sul facile effetto ma modella accortamente il respiro drammatico, seguendo la saggezza del Maestro.
Il direttore guida anche con braccio sicuro la schiera di interpreti vocali, tutti ben scelti anche nei ruoli minori. Difficile (e inutile) stilare una classifica, ma Elena Stikhina, nonostante qualche forzatura nell’emissione, colpisce e commuove per l’intensità emotiva che mette nel suo ritratto di Suor Angelica, specie nel duro confronto con Raehann Bryce-Davis, una zia principessa disegnata con grande talento attoriale prima ancora che vocale ma anche spigliatissima Frugola dall’inedita frenesia sessuale nel Tabarro. Nel primo dei tre atti unici molto riuscita è la prova dei tre protagonisti e soprattutto di Daniel Luis de Vicente, un convincente Michele introverso e tenebroso come il timbro vocale, opposto a Leah Hawkins, una Giorgetta dai tratti solari che esprime benissimo la sua grande voglia di vita, e Joshua Guerrero, un Luigi prestante soprattutto sul piano vocale ma curiosamente assai meno convincente come Rinuccio in Gianni Schicchi, che vede ancora de Vicente nei panni del protagonista, lodevolmente lontano da eccessi caricaturali. Ancora in Schicchi la giovane Inna Demenkova come Lauretta è l’unica a strappare l’applauso del pubblico dopo il sempre infallibile “O mio babbino caro”, ma l’interprete lascia il segno anche nel delicato ritrattino di Genovieffa in Suor Angelica e nel minuscolo ma ben cesellato ruolo dell’amante nel Tabarro. Impossibile nominare tutti gli altri ma vanno citati almeno Sam Carl, uno scanzonato Talpa e stralunato Betto, Scott Wilde, un Simone simpaticamente tronfio, ed Helena Rasker, una badessa severa ma Zita eccessivamente compassata.
Pubblico molto numeroso per la prima volta del Trittico completo ad Amsterdam e generosissimo di applausi e ovazioni per tutti alla fine della lunga serata.
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