Un mare di voci a Ravenna Festival

Inaugurata l’edizione 2025, con Muti protagonista prima alla guida della Cherubini e poi immerso nelle più di 3000 voci di Cantare amantis est

Riccardo Muti -  Cantare amantis est (foto Silvia Lelli)
Riccardo Muti - Cantare amantis est (foto Silvia Lelli)
Recensione
classica
Ravenna, Pala De André – Basilica di San Vitale
Ravenna Festival 2025
31 Maggio 2025 - 02 Giugno 2025

È stata letteralmente una full immersion nella vocalità – e nei valori di una cultura condivisa, musicale certo, ma non solo – quella rappresentata dai primi giorni di programmazione della XXXVI edizione di Ravenna Festival. Protagonista la bacchetta ma soprattutto la personalità di Riccardo Muti, prima chiamato sul podio della sua Orchestra Cherubini, poi impegnato a plasmare le oltre 3000 voci riunite a Ravenna per il progetto Cantare amantis est, il tutto nell’ambito di un programma che ha compreso, tra l’altro, la preziosa oasi rappresentata dalla presenza dei Tallis Scholars.

Riccardo Muti - l’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini (foto Marco Borrelli)
Riccardo Muti - l’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini (foto Marco Borrelli)

Per il concerto inaugurale di sabato 31 maggio Riccardo Muti ha diretto l’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini in un repertorio dalla cifra classica, che affiancava due pagine di Ludwig van Beethoven quali l’Ouverture in do minore op. 62 “Coriolano” e la Sinfonia n. 7 in la maggiore op. 92, al Concerto n. 4 in re maggiore per violino e orchestra K 218 di Wolfgang Amadeus Mozart. Un programma tratteggiato da una lettura al tempo stesso accurata e originale, capace di divedere in maniera significativa il passo netto e compatto impresso alle pagine del maestro di Bonn – seppur con palesi differenze tra le due partiture – da quello che ha segnato il concerto mozartiano, delineato attraverso una trama interpretativa più morbida. Un carattere quest’ultimo che, nelle curate trasparenze timbriche che hanno dato forma ai tre movimenti che compongono questo lavoro, ha saputo lasciare ampio spazio al suono del violino di Giuseppe Gibboni, interprete capace di vestire i panni solistici attraverso la linea sinuosa di un carattere timbrico al tempo stesso solido e flessuoso. Nei disegni più brillanti degli intrecci melodici dei due temi che innervano l’Allegro iniziale, così come nella liricità che disegna il sostanziale monologo solistico del successivo Andante cantabile, Gibboni ha saputo offrire una lettura dal segno personale, trascendendo il dato tecnico-virtuosistico – che peraltro non ne rappresenta il carattere principale – illuminando questa pagina con un’espressività screziata ora di ispirato respiro melodico, ora di brillante varietà timbrica, quest’ultima emersa in particolare nella raffinata giocosità del Rondò e Andante grazioso finale. Un gusto per il suono, quello di Gibboni, che ha mutato il suo carattere nella restituzione intensamente misurata del bis bachiano offerto a chiusura della prima parte del concerto.

Riccardo Muti - l’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini (foto Marco Borrelli)
Riccardo Muti - l’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini (foto Marco Borrelli)

Venendo alle due pagine beethoveniane, qui Muti riporta l’impasto orchestrale in primo piano, stagliandone il carattere attraverso una compattezza timbrica delineata attraverso una nettezza interpretativa che dagli attacchi si riverberava in una perentorietà al tempo stesso lucida e misurata. Un dato che, se già nell’Ouverture “Coriolano” è riuscito a sfrondare il discorso musicale da ogni inflessione superficialmente retorica, ha trovato pieno compimento della Settima Sinfonia e, in modo particolare, ora nel carattere misuratamente lirico dell’Allegretto in la minore, ora nella trascinante vitalità dell’Allegro con brio che ha chiuso il concerto tra i calorosi applausi del folto pubblico presente al Palazzo Mauro De André.

Riccardo Muti -  Cantare amantis est (foto Silvia Lelli)
Riccardo Muti -  Cantare amantis est (foto Silvia Lelli)

Sempre il Pala De André è stato poi lo scenario che ha ospitato, tra il 1° e il 2 giugno l’iniziativa Cantare amantis est (“Cantare è proprio di chi ama”, da Sant’Agostino), progetto curato da Anna Leonardi e Michele Marco Rossi. Nuova declinazione dell’ormai tradizionale filone rappresentato da Le vie dell’Amicizia, nelle intenzioni questa “chiamata” doveva rappresentare un viaggio nella coralità lungo un sentiero tracciato dallo stesso Riccardo Muti, un invito aperto ai cori e ai singoli cantori professionali o amatoriali – comprese le voci bianche, sia in formazioni sia individuali – per una due giorni di lezioni, prove e approfondimenti.

La risposta a questo invito merita di essere riportata attraverso i numeri fatti registrare: 104 cori, 1202 coristi singoli, un totale di 3116 partecipanti da tutta Italia per un’età compresa tra i 4 e gli 87 anni, così distribuiti: 208 voci bianche, 1059 soprani, 1062 contralti, 389 tenori e 398 bassi.

Riccardo Muti -  Cantare amantis est (foto Silvia Lelli)
Riccardo Muti -  Cantare amantis est (foto Silvia Lelli)

Fin dall’ingresso al Pala De André in occasione della prima tappa del programma – vale a dire il pomeriggio del 1 giugno, la sessione che abbiamo seguito – siamo stati immersi in un’atmosfera di gioiosa festa comunitaria, con intonazioni corali spontanee che, nell’attesa dell’avvio del programma ufficiale, si innescavano una dopo l’altra: dall’Inno di Mameli a “Bella ciao” fino ad “Azzurro”, ora la miccia partiva dalle gradinate dei soprani, ora da quella dei contralti, ora dalla platea dei tenori ora ancora dalla gradinata di fondo dei bassi. La percezione era quella di essere parte – e, per le più di 3000 voci, di essere vere e proprie protagoniste – di un evento speciale: cantare diretti da Riccardo Muti. E per di più, interpretare un repertorio scelto e amato dallo stesso maestro: “Va’, pensiero” da Nabucco, “Patria oppressa!” da Macbeth e “Jerusalem! …Jerusalem!” da I Lombardi alla prima crociata. E proprio l’amore per Verdi – e per il pensiero del compositore per come emerge dalle pagine delle sue opere – è parso il filo conduttore che ha guidato Muti nel raccontare – con il piglio diretto ma affabile e ironico, a tratti un poco guascone, che lo contraddistingue – perché, per esempio, “Va’, pensiero” non possa diventare un inno nazionale, o ancora le motivazioni profonde della giusta dizione, quello scolpire la parola per come è scritta e per come è musicata che va al di là di ogni acuto forzato o esibizionismo corrente o “di moda”.

Riccardo Muti -  Cantare amantis est (foto Silvia Lelli)
Riccardo Muti -  Cantare amantis est (foto Silvia Lelli)

Sono tanti i rimandi, gli stimoli, le informazioni e le indicazioni che Muti – coadiuvato dall’instancabile Davide Cavalli al pianoforte – dispensa tra una sessione di canto e l’altra, vero cuore creativo di queste giornate che hanno regalato battiti di emozione palpabile nell’ascoltare oltre 3000 persone – bambini compresi, ringraziati direttamente dallo stesso Muti – cambiare l’accento interpretativo del “Va’, pensiero” rendendolo veramente il lamento di un popolo sconfitto, o ancora pronunciare “Patria oppressa!” con quel disperato e arcano disorientamento che intride il clima della prima opera composta da Verdi su soggetto shakesperiano. Un’esperienza unica, soprattutto per gli oltre 3000 coristi che con la loro presenza attiva ed entusiastica hanno suggellato con palese e ampio successo questa iniziativa.

The Tallis Scholars (foto Marco Borrelli)
The Tallis Scholars (foto Marco Borrelli)

Un’oasi più raccolta ha infine contrassegnato il concerto ospitato la sera del 1 giugno in una Basilica di San Vitale da tutto esaurito con protagonisti i The Tallis Scholars. Il programma proposto ha rappresentato un omaggio a Giovanni Pierluigi da Palestrina nel 500° anniversario della nascita e ad Arvo Pärt nel suo 90° compleanno. L’affiatato ensemble vocale diretto da Peter Phillips ha dunque proposto pagine quali Surge, illuminare Jerusalem, Missa brevis e Lamentazioni a 6 (Lectio III Sabbato Sancto) di Palestrina, seguite da Da pacem di Pärt, completando l’impaginato della serata con Nunc dimittis del maestro del Rinascimento musicale italiano, pagina richiamata dalla composizione Nunc dimittis – seguita da Which Was the Son of… – del compositore estone.

Incastonati sullo sfondo rappresentato dalla volta a crociera del presbiterio di San Vitale, i componenti dei Tallis Scholars – Amy Haworth, Daisy Walford, Sarah Keating, Sumei Bao-Smith (soprani), Caroline Trevor, Luthien Brackett (alti), Steven Harrold, Nicholas Todd (tenori) e Tim Scott Whiteley, Jonathan Pratt (bassi) – hanno dato prova di un’intensità interpretativa capace di restituire tutta la tensione trascendente racchiusa negli intrecci sacri-polifonici di Palestrina, così come nelle riflessioni armonico-vocali tratteggiate attraverso i rimandi allo stile “tintinnabuli” di Pärt. Anche in questo frangente un convinto consenso del pubblico presente ha salutato tutti gli artisti impegnati in questo intensa serata musicale.

The Tallis Scholars (foto Marco Borrelli)
The Tallis Scholars (foto Marco Borrelli)

Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche

classica

La Staatsoper di Amburgo presenta la nuova opera di Unsuk Chin ispirata al rapporto fra Carl Gustav Jung e il Nobel per la Fisica Wolfgang Pauli 

classica

Gli imprevisti sono stati prontamente risolti e lo spettacolo è giunto tranquillamente alla fine, con esito buono ma non entusiasmante

classica

Santa Cecilia: dal Crepuscolo degli Dei  di Wagner a Vita d’eroe  di Strauss, passando per Brahms e Bruckner