Un concerto per gli ottocento anni del Cantico di Frate Sole
L’Ensemble Micrologus riscopre le laude e i cantici del tredicesimo secolo
25 novembre 2025 • 3 minuti di lettura
Aula Magna dell’Università di Roma “Sapienza”
Ensemble Micrologus
22/11/2025 - 22/11/2025La musica medioevale non figura mai nei programmi delle principali stagioni concertistiche italiane di musica da camera, con rarissime eccezioni, tra cui spicca l’Istituzione Universitaria dei Concerti di Roma, che ha ospitato nell’Aula Magna della “Sapienza” un concerto dell’Ensemble Micrologus. Dunque, intitolato “Giullari di Dio”, che ci riportava ai primi anni del tredicesimo secolo e più precisamente alle origini della lauda italiana.
Il concerto ruotava intorno al Cantico di Frate Sole, più noto come Cantico delle Creature, che fu scritto da San Francesco d’Assisi nel 1225 (o 1224) ed era destinato ad essere cantato, come indica chiaramente il titolo stesso. Ma la musica originale non ci è pervenuta. A partire dai primi anni del Novecento ne sono stati tentati numerosi adattamenti musicali (tra gli altri da Gian Francesco Malipiero, Carl Orff, Sofija Gubajdulina, Joaquin Rodrigo, Angelo Branduardi) senza alcuna pretesa di autenticità. La nuova ricostruzione presentata dal Micrologus si distingue per essere elaborata sulle fonti francescane più antiche a noi pervenute e sul canto salmodico, perché il testo di Francesco ricalca la struttura dei salmi responsoriali e sicuramente lo stesso faceva la musica: quindi un canto sillabico, quasi interamente sulla stessa nota, con brevi formule cadenzali alla fine di ogni versetto. Nella consapevolezza di non poter riproporre la versione musicale autentica - ammesso che esistesse, perché non si può affatto escludere che il canto fosse improvvisato, sulla base di precisi stilemi - si è però riportato questo cantico al suo stile musicale originario e gli si è restituito il suo carattere di preghiera semplice e contemplativa.
Intorno al Cantico di Frate Sole l’Ensemble Micrologus ha fatto ascoltare una serie di brani del Duecento d’ispirazione religiosa, riconducibili direttamente all’ambito francescano. Erano soprattutto sequenze e laude in lingua volgare, tratte da manoscritti antichi, principalmente dal Laudario di Cortona, risalente alla fine del tredicesimo secolo, uno dei pochissimi codici di quell’epoca a riportare non soltanto i testi ma anche la musica delle laude. Proprio perché erano guidate da solidi principi filologici, le esecuzioni del Micrologus contemplavano un certo grado di libertà, poiché la notazione antica non indicava le durate delle note e riportava la sola altezza delle note. Inoltre sono stato reintrodotti gli strumenti, che accompagnavano il canto e intercalavano le varie strofe. Si è così potuto ascoltare (e vedere) un vasto strumentario d’epoca: strumenti a corda (buccina, viola, lira, citola, cetra, symphonia), a fiato (corno di capra, cornamusa, zufolo, flauto doppio) e a percussione (tamburo, tamburello, campane, naccaroni), che creavano sonorità rustiche, vivacemente colorate, molto diverse da quelle degli strumenti attuali.
L’approccio filologico non trasformava assolutamente queste musiche in reperti museali privi di vita, al contrario suonavano vitali e feconde di significati e di emozioni. Ispiravano serenità, “alegrança”, gioia di vivere e amore per il creato, perché non menzionano peccati, punizioni, giudizi universali, inferni e tutto il restante armamentario di orrori raffigurato spesso dalle arti figurative di quei secoli. Alcune laude si concludevano perfino con danze vivacissime, quali il saltarello e l’istampita. Altre erano esemplificate sui sirventesi provenzali di argomento profano. Altre ancora, come la lauda-ballata “Amor dolçe, sença pare” di Jacopone da Todi, cantavano l’amore divino esattamente come le liriche profane dell’epoca cantavano l’amor cortese.
Gli otto membri dell’Ensemble Micrologus sono multitasking: ognuno canta e suona vari strumenti, come è possibile in questo repertorio, che non richiede doti virtuosistiche ma una profonda conoscenza e un infinito amore. Non ci vuole nulla di meno e nulla di più per riportare in vita queste musiche dopo un silenzio pressoché totale durato più di mezzo millennio. Ci hanno così offerto la rara possibilità di scoprire musiche praticamente sconosciute, le più lontane nel tempo giunte fino a noi, a parte i pochi e brevi frammenti greci e il patrimonio del canto gregoriano, ricchissimo ma oggi praticamente scomparso dalle chiese.
In conclusione: un concerto speciale, un’esperienza indimenticabile, un’intensa emozione. Li ringraziamo e speriamo di riascoltarli presto. Credo che abbiano suscitato simili reazioni in tutti gli ascoltatori, a giudicare dal calore degli applausi, ricambiati dal Micrologus con una delle Cantigas de Sancta Maria (canti monodici spagnoli, risalenti anch’essi al tredicesimo secolo) e con uno scatenato brano strumentale eseguito dall’intero organico.