Un "Candide" ironico e perfido alla Scala

Buon esito di "Candide" alla Scala con la regia di robert Carsen e un grande Labert Wilson

Recensione
classica
Teatro alla Scala Milano
Leonard Bernstein
20 Giugno 2007
Nel bello spettacolo firmato da Robert Carsen (che con Ian Burton ha riscritto i recitati del libretto) ci sono due segni forti. Il gigantesco televisiore che occupa l'intero boccascena, dentro il quale tutto si svolge e che permette varie commistioni di linguaggio (teatro, cinema, tv) e le sequenza delle proiezioni finali. Quando il coro esorta a coltivare il proprio giardino, passano le immagini di fabbriche inquinanti, disboscamenti selvaggi, ghiacciai e calotte polari in disfacimento, lande deserte dove vagano popoli senza cibo. Insomma un pugno nello stomaco che fa dimenticare le sciocche, e ben giostrate polemiche, su Berlusconi in mutande (la scena della dolce barcarola dei Cinque Grandi è rimasta intatta, alla faccia di chi teorizzava pesanti censure preventive). Candide ha realmente portato una ventata di giovinezza alla Scala, ha dato una gran carica all'orchestra (ottimamente diretta da John Axelrod), soprendentemente capace di sprigionare energie da Brodway, e soprattutto al coro, non lo si era mai visto ballare con quella verve in scena e divertirsi palesemente. Naturalmente tutto questo ha coinvolto anche il pubblico della prima, più di dieci minuti di applausi alla fine, ma tanti tanti durante lo spettacolo. Il cast è rimasto (dodici su tredici cantanti) praticamente identico all'edizione dello Chatelet, con il disinvolto William Burden nei panni del protagonista, la spiritosa Anna Christy (bravissima a imitare Marilyn) in quelli di Cunegonda e la spudorata Kim Criswell in quelli della Vecchia. Tutti, secondo le regole del musical, con voci amplificate, ma a dire il vero con discrezione. Grande prova l'ha data naturalmente il mattatore Lambert Wilson che, fuori dal televisore, in proscenio interpreta Voltaire (in italiano), e in scena Pangloss e l'apocalittico Martin. Gli interventi del personaggio Voltaire creano tuttavia alcuni inconvenienti di ritmo. Sono divertenti, cattivi, ma non introducono mai numeri musicali, bensì dialoghi, il che crea delle sequenze di parlato talvolta eccessivamente lunghe e alla fin fine appesantiscono lo spettacolo. Che invece è un fuoco di fila di eleganza e spirito. Anche le scene più drammatiche, come quella straordinaria dell'auto da fè che termina con Candide e Pangloss penzolanti dalla forca, divenatano in perfetto spirito volteriano sberleffo e balletto. Stefano Jacini

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