Umbria Jazz Winter al cinema

La musica del grande cinema italiano a Orvieto con Cinema Italia e La dolce vita – ma per quale pubblico?

Umbria Jazz Winter 2018
Recensione
jazz
Orvieto
Umbria Jazz Winter 2018
28 Dicembre 2018 - 01 Gennaio 2019

Superato, con l’edizione dello scorso anno, il traguardo del quarto di secolo di storia, Umbria Jazz Winter ha nuovamente portato il suo ricco calendario di eventi nella città di Orvieto, per una kermesse di cinque giorni che si è aperta il 28 dicembre e si è conclusa nel primo giorno di questo nuovo anno.

Tra le proposte dell’edizione numero ventisei – con la sua immutata formula che vede una sorta di "rotazione" dei concerti nelle più belle sedi del centro storico orvietano – due in particolare hanno voluto celebrare la musica del grande cinema italiano. Anzi, in realtà a essere celebrati sono stati proprio i due progetti, che a Orvieto non sono arrivati come novità, ma nella loro fase più matura.

Cinema Italia, che si giova di un cast di eccellenza grazie alla presenza di Rosario Giuliani al sax, Luciano Biondini alla fisarmonica, Enzo Pietropaoli al contrabbasso e Michele Rabbia alle percussioni, è infatti un progetto che già due anni fa ha portato all’uscita di un omonimo disco.

L’altro, La dolce vita, risale addirittura ai primi anni dello scorso decennio, con un esito discografico tra i più riusciti e apprezzati anche all’estero, e in questi giorni è stato riproposto a Umbria Jazz per festeggiare i sessant’anni di carriera di uno dei componenti del gruppo, Giovanni Tommaso, che per l’occasione è stato ancora una volta sul palco insieme agli eccezionali Enrico Rava, Roberto Gatto e Danilo Rea (quest’ultimo subentrato a Stefano Bollani, che era presente nel disco).

In Cinema Italia di Rosario Giuliani – un’idea nata in duo con la fisarmonica di Luciano Biondini ma ben presto ampliata alla formazione a quattro che ha poi realizzato l’omonimo disco – subito arrivano i due nomi più rappresentativi della musica che ha caratterizzato il cinema italiano, ovvero Nino Rota ed Ennio Morricone. Partendo col tema della Dolce vita e passando subito dopo a quello tratto da Nuovo Cinema Paradiso, il gruppo evidenza come questo materiale musicale contenga enormi potenzialità di sviluppo: dalle eleganti evoluzioni del sax di Giuliani alle atmosfere evocative che Biondini crea con il suo strumento, dai magistrali assoli di Pietropaoli alle sperimentali sonorità che – grazie all’elettronica – anche la batteria di Michele Rabbia può diffondere, tutto ha funzionato come in un collaudato gioco di equilibri. Soprattutto, al centro dell’attenzione del pubblico orvietano, ampio come sempre, è stata la capacità di rilettura che i quattro musicisti sono riusciti a dare del materiale originario, non tradendone lo spirito bensì conducendolo su terreni nuovi e sorprendentemente inesplorati. Basti come esempio il celebre tema di Morricone da C’era una volta in America, che inizialmente risuona in un ambiente sonoro rarefatto, quasi degno di un film di fantascienza, e che poi "atterra" in un contesto ritmico e dinamico molto più prossimo agli Stati Uniti dei giorni nostri.

Ancora Fellini al centro dell’altro progetto – quello che prende il nome dal capolavoro che consacrava la Via Veneto degli anni Sessanta – all’interno del quale Giovanni Tommaso ha inserito anche i nomi di musicisti come Armando Trovajoli e Luis Bacalov, in un concerto dove non ha voluto tanto ricordare il suo lungo periodo di militanza nel jazz italiano quanto piuttosto dare spazio alle inconfondibili individualità presenti sul palco. Ecco dunque la grande verve di un Enrico Rava, pronto a duettare con un trascinante Rea sui temi tratti da Otto e mezzo o da Il postino, sempre sorretti dalla raffinata regia del contrabbasso di Tommaso e dalla perfetta sezione ritmica realizzata da Gatto (entrambi protagonisti peraltro di applauditi interventi solistici). Una partita tra amici di lungo corso, nella quale la maestria dei compositori per il cinema è stata spunto e al tempo stesso punto di riferimento per una raffinatissima serie di improvvisazioni.

A ben vedere, progetti non nuovi hanno testimoniato, ancora una volta, come la musica – e non solo quella jazz – sia innanzitutto un evento dal vivo, dove ogni serata può comunicare sensazioni ed emozioni diverse, al cospetto delle quali una qualsiasi incisione discografica appare come una fotografia sbiadita che tenta di parlare, ma forse può solo offrire un piacevole ricordo a chi ha avuto l’opportunità di essere presente a un concerto.

Per il resto Umbria Jazz ha dovuto registrare l’assenza, per motivi di salute (ben comprensibili vista l’età prossima ai novant’anni) di Barry Harris, ma le ragioni di interesse sono rimaste elevate comunque, vista anche la presenza dei più rappresentativi nomi del panorama italiano (basti citare i quattro trombettisti più noti: Rava, Fresu, Bosso, Boltro) e l’immancabile omaggio di fine anno al canto religioso della tradizione afroamericana, quest’anno col New Direction Gospel Choir del Tennessee.

Qualche riflessione finale merita farla in relazione al pubblico che frequenta questa storica manifestazione, ascoltatori certo musicalmente colti ma soprattutto che si possono permettere una vacanza di fine anno nella splendida località umbra. Senza nulla togliere alla passione che si percepisce durante i concerti, sembra sempre più trattarsi di un privilegio elitario, se non altro per questioni economiche. Gli organizzatori di UJW confermano che il jazz italiano gode di ottima salute, di fatto sicuramente lo gode quello che qui ha la possibilità di esprimersi, sempre ai massimi livelli. Ma se si continua ad assecondare – come il programma di quest’anno sembra fare – i gusti di chi vuole limitarsi ai nomi più consacrati (di certo siamo sempre al top del panorama nazionale e non solo), si lavora ben poco a quell’allargamento sia del pubblico sia delle proposte, che è urgente per la musica tutta. Musica che peraltro attende ancora il dovuto riconoscimento come fatto culturale meritevole di risorse finanziarie, senza le quali rischia di trovarsi in serie difficoltà. Senza contare che per la schiera sempre più ampia di studenti e diplomati – spesso di ottimo livello – dei tanti corsi di jazz che ormai pullulano nell’intera penisola, i palcoscenici orvietani restano un traguardo oltremodo distante. Tanto più diventa fondamentale creare molte più nuove occasioni per presentare questi nuovi talenti, per dar spazio in sostanza anche a un jazz nuovo, cosa che la realtà di Umbria Jazz da sola oggi non riesce a fare.

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