Ultime luci sul Ring triestino

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Recensione
classica
Teatro Lirico Giuseppe Verdi Trieste
Richard Wagner
16 Novembre 2001
Con l'atto conclusivo della saga del "Ring", un dramma atipico che contraddice clamorosamente se stesso poiché allinea entro la morsa della sacralità del rito prospettive appassionate e disposizioni al canto, si è inaugurata ieri sera la stagione entrante al Teatro "Verdi" di Trieste. Avviato nel 1997 in maniera problematica (si era resa necessaria dopo una non felicissima edizione dell'"Oro del Reno" la scelta di un nuovo direttore d'orchestra), l'impegnativo "Anello" triestino sembra aver trovato un solido equilibrio sotto la bacchetta sicura e partecipe del giovane direttore d'orchestra tedesco Stefan Anton Reck, assistente di Abbado, che, dopo i passati successi giuliani di "Valchiria" e del "Siegfried", ha condotto ora "Il crepuscolo degli dei", l'ambivalente dramma della morte di Siegfried, ripensando al contesto globale della tetralogia wagneriana nelle sue sfaccettature tragiche, solenni, epiche, ma anche irrequiete, sentimentali e liriche. Reck ha cercato di smussare l'enfatizzazione sotterranea del discorso musicale e l'appesantimento retorico della vocalità che accompagnano la storia interpretativa dell'ultimo quadro del celebre polittico, scolpendo un bassorilievo in cui classicismo ed estetismo trovano equilibrio formale. La volontà di bilanciare la sacralità nordica con le profezie dello Jugendstil, hanno portato Reck ad insinuare nel suo congedo dall'apocalittico, complesso epilogo sacrificale una seducente cosmogonia estetizzante. Non potendo disporre di tutti i leggii previsti da Wagner in partitura, dal golfo mistico del "Verdi" si è levata ad ogni modo una compagine orchestrale abbastanza sonora, compatta, attenta alla bacchetta di Reck e alle sue intelligenti sollecitazioni agogiche e dinamiche. Le sezioni cruciali degli ottoni hanno risposto con saldezza e precisione, e altrettanto gli archi, i legni e le percussioni hanno profuso trasparenza e vitalismo al reticolo motivico che permea questo appello mortuario, in cui forse solo la celebre "Trauermarsch" è risultata al di sotto del suo carattere fastosamente ieratico. Ad ogni modo il pensiero plastico di Reck si è distinto per modello di disciplina e per un approfondimento analitico del testo, assai persuasivo. Al grande organico orchestrale guidato da Reck, si sono affiancati interpreti di alto livello: Kurt Rydl, basso profondo giustamente bieco, esperto e ispirato navigatore nel difficile ruolo di Hagen; il soprano californiano Luana De Vol, maestoso nel delineare sia gli slanci acuti che i vortici gravi e foschi di Brunnhilde. Per converso, alla voce tenorile adolescenziale, alleggerita e sfumata di Siegfried, è stata adattata quella dagli accenti più maturi di Wolfgang Mueller Lorenz, comunque bravo e valoroso. Il cast vocale offriva poi altre due buone attrattive con Juergen Linn (Gunther)e Anna Katharina Behnke. Eccellente il coro che, orfano della sua guida storica Ine Meisters, da poco in quiescenza, è ora affidato alle ottime cure di Marcel Seminara. Se oculate si sono rivelate le scelte vocali, altrettanto provvidenziale si è verificata la svolta registica e scenografica dell'epicedio del "Ring" (le cui cure visive nelle passate edizioni furono firmate da Gottschalk e Aue),affidata a un nuovo team. Contravvenendo alle usuali messinscene di gusto 'barbarico', Walter Pagliaro, regista formatosi all'officina di Strehler, ha affrontato con taglio antitradizionale la lettura dell'opera, costruendo un'apocalisse personale che rinvia a una più estesa metafora, quella della catastrofe, della caduta del Walhalla, rivissuta attraverso la distruzione di un teatro che brucia (si pensi al Petruzzelli e alla Fenice), sintomo di una società che, sull'orlo dell'apocalisse, non sa custodire i propri luoghi culturali. Le scene sono state dunque risolte mediante un piano inclinato atto a riflettere (forse) lo stesso Teatro "Verdi", che la scorsa primavera si liberò provvidenzialmente dall'incendio che lo lambì e che avrebbe potuto nel volgere di poche ore annientarlo, seguendo a ruota il destino dei già citati teatri italiani. Insieme a Ulderico Manani, scenografo e costumista, Pagliaro ha dato intelligentemente vita ad una catastrofe fin de siècle, dove l'immagine del teatro classico, adornato da cariatidi e inclinato su se stesso, quasi a prefigurare un ipotetico crollo, a poco a poco si smembra sino a bruciare del tutto, inghiottendo la propria storia. Una soluzione questa che, nonostante potesse essere impervia per le movenze dei cantanti e del coro, ha permesso di profondere alto senso drammaturgico e spaesamento moderno al testo wagneriano. Alla fine applausi calorosissimi per tutti; più tiepidi per le scelte scenografiche che, ingiustamente, sono parse al pubblico triestino (avvezzo alla routinerie) piuttosto oscure per il loro moderno e incisivo messaggio.

Interpreti: Müller-Lorenz/Millgramm, de Vol/Yahr, Rydl/Lju, Linn,Hillebrandt/Martin, Braun/Lytting/Overmann, Bhnke/Ottenthal

Regia: Walter Pagliaro

Scene: Ulderico Manani

Costumi: Ulderico Manani

Orchestra: Orchestra del Teatro Lirico "G. Verdi" di Trieste

Direttore: Stefan Anton Reck

Coro: Coro del Teatro Lirico "G. Verdi" di Trieste

Maestro Coro: Marcel Seminara

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