Tutti i colori della Primavera di Montecarlo

Da Mahler alla musica popolare bretone

Recensione
classica
Nella seconda pagina del programma di sala, del festival Printemps des arts di Montecarlo, c'è l'immagine glamour della Principessa Carolina, che ci ricorda che siamo a Monaco: sì, perché il logo dell'edizione di quest'anno della kermesse musicale, diretta da Marc Monnet, sembra propria di una rassegna di un club alternativo berlinese piuttosto che quella del principato della creme e del jet set internazionale. Ha i tratti di una maschera tragica - che sembra uscita dal quadro di un espressionista tedesco - il personaggio simbolo di questo festival (una foto dell'artista Marie-Claude Beaud), dalle grandi e deformi orecchie a punta, che, facendosi luce con un accendino, pare scrutare verso l'alto la via d'uscita da un antro, in una sorta di cunicolo, stretto ed opprimente. E Marc Monnet ride divertito, sornione, contento dell'effetto sorpresa della sua trovata, che fa discutere l'ambiente monegasco: per lui è semplicemente una domanda, un'interrogazione di chi guarda e ascolta, che riflette la curiosità di uno spirito indagatore...Un'indagine che sviluppa i seguenti temi: “Ritratto Gustav Mahler” (con l'esecuzione di ben otto sinfonie), I “grandi quartetti”, una “Nuit de piano”, una grande maratona pianistica, La “musica alla corte del Re Sole” finanche la musica tradizionale bretone, quindi laboratori e tavole rotonde. Filoni densi e ricchi di contenuti, anche se quest'anno manca un'attenzione specifica alla produzione contemporanea, come ci si sarebbe atteso da Monnet e dallo 'spirito indagatore' di quella sorta di Diogene armato di accendino, figura simbolo del festival 2016.

Due le esecuzioni sinfoniche mahleriane in cui ci siamo imbattuti, con orchestre tedesche, entrambe di ottimo livello: una Quinta, con la NDR Radiophilarmonie, diretta da Andrew Manze e una Settima, con la Radio-Sinfonieorchester Stuttgart des SWR, diretta da Eliahu Inbal, mentre ci mangiamo il cappello dalla rabbia per non aver potuto assistere al concerto conclusivo, che prevedeva l'esecuzione della Decima e della Prima, con Daniel Harding alla guida dell'Orchestra di Montecarlo. Fin dagli iniziali squilli di tromba ci è parso che Manze volesse caratterizzare questa Quinta in senso decisamente antieroico, verso una lettura fortemente meditativa, riservando al solo Finale le più intense e robuste esplosioni orchestrali. Quello del direttore inglese è un gesto plastico che indulge volentieri ad ampie dilatazioni nei tratti più lirici, puntando ad una visione il più possibile omogenea di un percorso sinfonico così denso di scarti come quello mahleriano. Così le esplosioni e la veemenza del secondo movimento viene fortemente dosata, in un equilibrio dinamico che dà enfasi e tensione dolorosa all'assunto, con le espansioni di ampia cantabilità dei suoi temi. E' quindi sostanzialmente un colore classico, dotato di particolare levità quello conferito allo Scherzo, dal direttore inglese, mentre l'estrema dilatazione della lettura dell'Adagietto riesce a tenere una notevole carica di intensità drammatica, con una dinamica che risolve verso un pianissimo che scompare con calibrata intensità. E la densa polifonia e i momenti contrappuntistici del Rondo-Finale sono quindi filtrati da una lettura fortemente plastica, molto classica, come a svuotare il carattere drammatico, sviluppato fino ad ora, con un sostanziale e gioioso ottimismo delle esplosioni degli ottoni.

Se con la Settima del giorno seguente ci troviamo in un'altro emisfero dell'universo mahleriano, anche la visione di Inbal della scrittura di questo compositore si muove in una prospettiva assai diversa, per noi estremamente interessante nell'immediato raffronto tra i due mondi, quasi divergenti. E' infatti quella del direttore israeliano una concezione che punta dritto e prende le mosse, in maniera decisa, dalla sostanza ritmica dell'assunto, che mira fin dall'inizio ad esaltare una timbrica fatta di sonorità aperte, con le figure che si innestano alla perfezione nel gioco d'incastri della complessa costruzione di questa sinfonia. Riesce sapientemente a far emergere il senso unitario e la coerenza compositiva di un discorso estremamente frammentato, senza indugiare, con un gesto di grande chiarezza: sembra che voglia come lasciare che sia la partitura stessa a parlare, ma che forza riesce a conferire alla fanfara che chiude il primo movimento! Così la cifra interpretativa di un rigore ritmico viene caratterizzare tutta la conduzione della sinfonia, anche nei temi dei corni e dei violoncelli della prima Nachtmusik, così come nell'espansione melodica degli stessi violoncelli. Quindi assistiamo ad un sapiente cesello di soli, che nello Scherzo evolvono fino a delineare una danza diabolica, cammei della decadenza viennese, su cui irrompono marce militari e il clangore delle campane delle mucche: un tourbillon nel quale la gestione della complessità non è mai confusa, ma incredibilmente intellegibile. Una sapiente gestione della complessità che, anche nel 'quasi volgare' Rondo-Finale, riesce a far filtrare il senso di un'ambientazione eterofonica densa di insorgenze motiviche e di citazioni, con l'innesto di contrappunti sempre più serrati, fino alla parossistica corsa finale, che scatena un lungo applauso liberatorio di un pubblico attento e generosissimo. Già, perché bisogna dirlo: il pubblico che ha riempito la sala dell'Auditorium Ranieri III - a differenza di certi nostri connazionali che scappano dopo l'ultima nota, per uscire primi dal parcheggio - ha giustamente premiato con dieci minuti buoni di applausi, direttore, solisti e orchestra tutta, sia in questa serata che in quella precedente, diretta da Manze, dimostrando sensibilità e grande generosità.

Nel pomeriggio, una parentesi piacevole e gustosa di pezzi strumentali e soprattutto di danze, di musica popolare bretone, con i due fratelli Paranthoën, voce, organetto e violino: a farci conoscere il patrimonio di questa tradizione, con la sua prossimità a quella celtica, ma anche con echi arabeggianti, con i suoi lunghi pedali, il virtuosismo strumentale ed una ritmica assai articolata.

Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche

classica

Piace l’allestimento di McVicar, ottimo il mezzosoprano Lea Desandre

classica

A Bologna l’opera di Verdi in un nuovo allestimento di Jacopo Gassman, al debutto nella regia lirica, con la direzione di Daniel Oren

classica

Napoli: il tenore da Cavalli a Provenzale