Trouble in Tahiti sbarca a Roma

Allestimento funzionale e interpretazione dinamica nello spettacolo che apre il Festival di Nuova Consonanza

Trouble in Tahiti
Trouble in Tahiti
Recensione
classica
Roma, Teatro Palladium
Trouble in Tahiti
11 Novembre 2018

Una prima rappresentazione romana a quasi settant’anni dall’anno di composizione costituisce un evento singolare, specie se l’autore che è rimasto nel cassetto per tutto questo tempo si chiama Leonard Bernstein. Apprezzabile dunque la scelta di aprire il 55° di Nuova Consonanza proponendo un titolo come Trouble in Tahiti, che il musicista americano scrisse nel 1951, realizzando un piccolo gioiello operistico, concentrato in un unico atto ma estremamente ricco di contenuti. Realizzato in collaborazione con Opera InCanto e Fondazione Roma Tre Teatro Palladium (sulle scene del quale è stato presentato nella versione per ensemble di Bernard Jannotta), il lavoro di Bernstein risulta sorprendentemente attuale, malgrado fosse per il compositore – qui eccezionalmente anche autore del libretto – il primo esperimento ‘operistico’. Attraverso la crisi coniugale di Dinah e Sam, coppia di trentenni della classe borghese più agiata, egli mette alla berlina non solo la stessa società americana post bellica e la sua aspirazione a un consumismo necessariamente elitario, ma in fondo anche l’American Dream. Un linguaggio composito – tra musical, jingle commerciali, contrappunti, swing e l’immancabile rumba, omaggio alla Tahiti del titolo – anima le sette scene in cui è articolato l’atto unico, in un percorso che mantiene alto il ritmo dello spettacolo anche quando affronta più espressivamente il tema dell’incomunicabilità tra i due coniugi.

Assai funzionali la regia e l’impianto scenico di Carlo Fiorini, che ha collocato sullo sfondo del palcoscenico gli strumentisti dell’Ensemble InCanto, creando poi una movimentata serie di geometrie variabili che hanno coinvolto sia gli interpreti vocali che lo stesso direttore Fabio Maestri. Con un effetto complessivo assai godibile, grazie a una scena sempre effervescente ma in piena sintonia con l’economia di mezzi che caratterizza la partitura di Bernstein. Non sempre impeccabile la concertazione di Maestri, che tuttavia in qualche caso si è trovato nella non comoda situazione di dirigere avendo i cantanti alle proprie spalle. Nel cast vocale si sono distinti i componenti del trio jazz – Lucia Fillaci, Carlo Putelli e Luca Bruno – non solo perfettamente calati nei loro ruoli ma sempre in eccellente sincronia anche se occupati a spostare oggetti fuori e dentro la scena. Dario Ciotoli ha interpretato la parte di Sam con padronanza, ma accentuando a volte in modo eccessivo il lato ‘muscolare’ del personaggio mentre Chiara Osella (Dinah) è risultata un po’ sottotono rispetto al volume sonoro che l’ensemble strumentale riusciva a esprimere seguendo le indicazioni del direttore. Complessivamente una bella proposta, la Capitale l’attendeva da tempo e il pubblico l’ha ripagata con un ampio applauso finale.

 

 

 

 

 

 

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