Trittico Janacek a Lione

Si è concluso all'Opera di Lione il Festival Janacek. Tre le opere proposte: Jenufa, Katia Kabanova e il Caso Makropoulos. Complessivamente buoni gli allestimenti, arrivati da Glyndebourne, ottima l'idea di alternare le opere in scena. È stato così possibile percorrere in poche serate il lungo cammino intrapreso da Janacek verso la definizione del suo personalissimo teatro musicale.

Recensione
classica
Opéra de Lyon Lione
Leos Janacek
01 Giugno 2005
Per pubblicizzare il suo Festival Janacek, l'Opera di Lione ha tappezzato la città di cartelloni su cui fa bella mostra di sé un ragno nero, eletto, è da credere, a logo dell'evento. Ora che cosa c'entrino i ragni neri con Jenufa, Katia Kabanova e il Caso Makropoulous è domanda da girare all'esperto di marketing, che sviato dalle tante "k", avrà forse creduto di trovarsi di fronte a un festival di film horror. Quel che conta è che in scena, per fortuna, di spettri e ragni non ci fosse la minima traccia. Già, perché il messaggio che le opere di Janacek lanciano, in un Novecento tutto preso ad evadere in fumisterie mitiche, espressionistiche distorsioni e nostalgie di ogni sorta, è proprio quello di restare coi piedi per terra, ancorati alla vita con sano realismo e fiducia. Così il primo merito per la riuscita di questi tre allestimenti (targati Glyndebourne) va a Lothar Koenigs che ha saputo restituire la pimpante e ruvida scrittura orchestrale di Janacek in tutta la sua vitalità. Certo nelle prime due opere, qualche abbandono in più e alcune concessioni all'eloquenza avrebbero aggiunto spessore drammatico ad una musica che non è solo inquieto attivismo. Molto felice anche la mano del regista Nikolaus Lehnhoff nel rendere credibili i repentini capovolgimenti cui i modi un po' spicci di Janacek spesso costringono i cantanti. Più discutibile invece la leggera inquietudine (alla Magritte, per intenderci) che serpeggia nelle scene di Tobias Hoheisel: la casa di Jenufa sembra più quella di Kafka, distorta com'è da una prospettiva a strombo e da un soffitto opprimente; nel Caso Makropoulos il destino incombe sottoforma di un grande piano a coda appeso a testa in giù. Dei tre spettacoli il meno riuscito è stato Katia Kabanova, per via degli inguardabili colori fosforescenti in scena e per l'inadeguatezza di Eva Jenis nel complesso ruolo della protagonista, ridotta più o meno a una matta isterica. Su un altro livello invece le due opere che potevano contare sulla magnetica presenza scenica di Anja Silja, ancora in voce nonostante l'età, generosa e intensa nei panni della Kostelnicka e di Emilia Marty. Da ricordare tra gli altri protagonisti, tutti perfettamente in parte, il Laca di Stefan Margita, e i vari ruoli di basso buffo impersonati da Jonathan Veira, abilissimo nel cambiare pelle ogni sera. Teatro sempre esaurito e pubblico entusiasta – e se questo è il risultato, ben vengano anche i ragni neri.

Interpreti: La recensione si riferisce a tre recite successive di "Jenufa", "Katia Kabanova" e "Il Caso Makropoulos". Questi i cast: JENUFA Jenufa: Orla Boylan; Kostelnicka: Anja Silja; Laca: Stefan Margita; Steva: Valentin Prolat; Buryja: Menai Davies; Karolka: Vanessa Woodfine KATIA KABANOVA Katia: Eva Jenis; Kabanikha: Kathryn Harries; Boris: David Kuebler; Tikhon: John Graham-Hall; Varvara: Linda Tuvas; Vania: Timothy Robinson; Dikoï: Jonathan Veira CASO MAKROPOULOS Emilia Marty: Anja Silja; Albert Gregor: David Kuebler; Jaroslav Prus: Steven Page; Kolenaty: Jonathan Veira Vitek: Neil Jenkins; Krista: Jessica Miller; Janek: François Piolino

Regia: Nikolaus Lehnhoff

Scene: Tobias Hoheisel

Costumi: Tobias Hoheisel

Orchestra: Orchestra dell' Opera di Lione

Direttore: Lothar Koenigs

Coro: Coro dell' Opera di Lione

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