Tre pianisti per due concerti a Montepulciano
Bahrami, Rea e Lonquich hanno chiuso il Festival di Pasqua nella cittadina toscana
In tre edizioni il Festival di Pasqua di Montepulciano è molto cresciuto e la qualità delle sue proposte è ora veramente alta, tanto che ciascuno dei tre fine-settimana in cui si svolge avrebbe meritato il viaggio. Per ovvie ragioni non è stato possibile, ma il primo lo ho comunque potuto seguire anche restando a Roma, dove all'ambasciata svizzera si è avuta un'anteprima del concerto portato poi a Montepulciano, con musiche di Brescianello, Vivaldi, Handel, Telemann e Bach eseguite da "I baroccoli" diretti da Massimiliano Matesic: si tratta di un ensemble svizzero composto da dilettanti, che suonano non semplicemente come professionisti, ma come professionisti di prima categoria. Stupefacente! Il flauto dolce Pascal Suter è un vero fenomeno, non so quanti come lui ce ne siano in giro. Con loro l'ottimo soprano Eleonora Contucci (anche direttrice del festival) e la giovanissima Bianca Maria Fiorito al flauto traverso, una rivelazione per precisione tecnica, bellezza del suono e musicalità. Perduto a malincuore il secondo fine settimana – che tra l'altro annoverava la prima assoluta di Briganti toscani, un "melologo buffo" di Fabrizio De Rossi sulle storie dei briganti locali – sono infine potuto andare a Montepulciano per il terzo e ultimo, che in due concerti ha fatto ascoltare tre pianisti i cui nomi – Ramin Bahrami, Danilo Rea e Alexander Lonquich – parlano da soli.
I primi due erano annunciati in un programma imperniato su Bach. Pensavo, ingenuamente, che si sarebbero alternati, l'uno suonando Bach, l'altro improvvisando su temi di Bach; invece il loro progetto era molto più originale: Bahrami suonava Bach – Clavicembalo ben temperato, corali, danze dalle Suites e altro ancora – e simultaneamente Rea improvvisava sul secondo pianoforte. Si direbbe impossibile aggiungere qualcosa a Bach, perché l'armonia, il contrappunto e la melodia sono non solo perfette in sé ma anche talmente dense e piene di note che aggiungercene altre sembra un'impresa irrealizzabile. Invece Rea con le sue improvvisazioni – credo che si trattasse d'improvvisazioni relative, e che ci fosse dietro una lunga preparazione: se così non fosse, Rea è un mostro di bravura – s'inseriva talmente bene sul Bach suonato da Bahrami da far pensare in certi momenti che Bach stesso, se avesse mai scritto qualcosa per due pianoforti o clavicembali, avrebbe fatto proprio così. Talvolta invece Rea andava verso atmosfere blues, che s'intonavano perfettamente alla malinconia del "Siciliano". Tra il pubblico qualcuno era lì per Bach di Bahrami, qualcun altro per il jazz di Rea, ma tutti erano comunque rapiti da un concerto così intelligente, raffinato, sorprendente.
Il giorno dopo Alexander Lonquich – fresco di Premio "Abbiati" – presentava un programma assolutamente classico, imperniato su due Sonate di Beethoven e Schubert, ma anche su una rarità come le Bagatelle op. 126 del primo, che non si ascoltano mai in concerto, forse per quel titolo che lascerebbe pensare a delle cosette senza importanza. Ma sono le ultime composizioni pianistiche di Beethoven, sublimi nella loro semplicità, che è in realtà l'esito di un'estrema concentrazione e della rinuncia a tutto ciò che non è indispensabile. Ascoltare un pianista così alieno dal virtuosismo e dall'esibizione e attento esclusivamente ai valori reali e profondi della musica è un piacere impagabile. Ed è proprio l'attenzione a tali valori che deve aver deciso Lonquich a inserire in programma all'ultimo minuto la sconosciuta Sonata composta dal ventiquattrenne Gideon Klein nel 1943 in un campo di concentramento, due anni prima di essere ucciso. Presentandola brevemente al pubblico, ha detto che lo faceva non per un pur doveroso omaggio a una vittima del nazismo ma per il grande valore dela sua musica. In effetti si tratta di un pezzo dalla scrittura modernissima, che ricorda Berg, ma è più asciutta e graffiante, e ha una grande forza espressiva, che va dalla drammaticità del primo movimento al lirismo dell'Adagio e alla brillantezza e perfino all'umorismo del finale. Come il giorno precedente, il pubblico, tra cui vari erano gli stranieri, ha dimostrato di apprezzare in pieno il valore di questi concerti.
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