Tenebre e luce nel Flauto di Medcalf

Spettacolo spoglio, essenziale, molto applaudito il Flauto Magico messo in scena a Cagliari da Stephen Medcalf. Pochi oggetti di scena e il resto giocato sulle luci, i costumi le coreografie dei Pilobolus. Ottimo il cast, con Giuseppe Filianoti nei panni di Tamino e Sandrine Piau in quelli di Pamina.

Recensione
classica
Teatro Lirico di Cagliari Cagliari
Wolfgang Amadeus Mozart
30 Maggio 2003
Sei oggetti sul proscenio: una mela, un Glockenspiel, una cornice, un pugnale, un flauto e un bastone. Solo sei oggetti, posati su fragili supporti, e poi dodici torce elettriche (che sostituiscono le fiaccole dei sacerdoti nel secondo atto). È tutto quello che ha richiesto il regista Stephen Medcalf per il Flauto Magico messo in scena, per la prima volta, al Teatro lirico di Cagliari. Per rendere la "progressione dalle tenebre alla luce, dal caos all'armonia" della Zauberoper mozartiana, Medcalf (che a Cagliari aveva già curato, lo scorso anno, l'allestimento di Romeo e Giulietta del villaggio di Frederick Delius) ha compiuto una scelta radicale: uno spazio scenico completamente vuoto, nero, un palcoscenico molto inclinato che nella parte più lontana sembrava sprofondare nel buio: come un buco nero dal quale affioravano i personaggi e nel quale scomparivano. I movimenti e i colori erano dati dalle bellissime cortine di luce, dagli effetti di illuminazione dal basso, dagli spot automatici (governati da sensori inseriti nelle parrucche di alcuni opersonaggi), dal continuo trascolorare tra molteplici gradazioni del blu (notte) e dell'arancione-ocra (giorno), i colori dominanti di tutta l'opera, culminante nella scena finale immersa in una radiosa luce arancione. Alle luci si aggiungevano i costumi di Romeo Gigli, che contribuivano al raffinato gioco cromatico, trasformando il coro in un vero e proprio fondale di colore, e permettevano di concentrare tutta l'attenzione visiva sui personaggi (bellissimo l'abito della Regina della Notte trasformato in una gigantesca stella blu che si espandeva su tutto il palcoscenico). E poi la compagnia Pilobolus Dance Theatre, con le coreografie di Michael Tracy che creavano dei plastici tableaux vivants, e sostituivano di fatto la scenografia: diventavano serpenti, fiere, leoni, sorreggevano vari personaggi nelle loro entrate in scena, facendoli fluttuare a mezz'aria, intrecciavano i loro corpi formando due giganteschi uomini corazzati, le architetture del tempio, l'albero del tentato suicidio di Papageno, creavano delle pantomime nelle prove del fuoco e dell'acqua. Spettacolo dunque spoglio – erano solo mimati anche il lucchetto sulla bocca di Papageno, il bicchiere d'acqua nella mano della vecchia megera-Papagena, la corda intorno al collo di Papageno – ma molto accattivante, nonostante qualche dialogo parlato inutilmente lento, e qualche trovata inutilmente comica (come i sei piccoli Papageni che compaiono in scena durante il duetto tra l'uccellatore e la sua ragazza che alla fine fuggono quasi terrorizzati dalla improvvisa, numerosa prole). Gérard Korsten ha diretto con la consueta maestria, ma senza quell'estro cinetico che gli conosciamo. Si è rivista sul palcoscenico di Cagliari la coppia Giuseppe Filianoti (Tamino) e Markus Werba (Papageno), già ammirati come Flamand e Olivier in Capriccio, molto convincenti sia sul piano vocale che della recitazione. Désirée Rancatore era una Regina della Notte dal timbro più vellutato che metallico, perfetta nei suoi astrali arabeschi. Piena di pathos la voce di Sandrine Piau, Pamina, capace anche di uno straordinario controllo nel pianissimo. Imponente la figura vocale e scenica di Daniel Lewis Williams, Sarastro. Un po' macchinosi e disomogenei gli insiemi delle tre dame. Deliziosi i tre fanciulli del Tölzer KnabenChor, che facevano la oro comparsa in scena in pigiama e sbadigliando.

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