Sfatto dalla vita

diario del 2 luglio

Recensione
jazz
La giornata di Bosa alle 12.30 è già finita. Perché, dopo avere visitato la Piccola Casa della Provvidenza detta anche “Cottolengo”, sembra che tutto finisca davvero. Sono gli sguardi di Caterina, Mariuccia, Nunzia, Pasqua, Gabriele, Franceschino e Bona ad entrarti dentro e lì si installano e non se ne vanno più anche se tu esci fisicamente da quel luogo. Sono anche le strette di mano di Suor Giovanna, Suor Chiara e delle altre cinque suore che gestiscono quel luogo dove quando entri ti si chiude la gola. Non è così per loro che in quel luogo ci abitano e danno tutto se stesse, ma ieri a Bosa al Cottolengo sembrava fosse successo qualcosa di speciale. Suor Giovanna mi dice che i malati erano commossi e sembrava anche a me ma io lo ero più di loro. Con la differenza che loro non possono esprimersi ed io sì e che quando ieri ci ha accomunato una commozione che ti blocca il respiro e le parole puoi finalmente comunicare nell’unico modo che ci avvicina e che è un grido che ti viene da dentro. Loro lo esprimono nei modi più diversi ed io con l’unico strumento che conosco e che è il suono che è vita. La loro e la mia. La nostra: di chi è lì e sembra avere avuto la fortuna che abbiamo noi, delle Suore, dei volontari dell’Associazione Onlus “Luisa Monti” presieduta dalla signora Antonietta Deriu che di Luisa era madre e che oggi prosegue il suo progetto solidale. Caterina, Mariuccia, Nunzia, Pasqua, Gabriele, Franceschino e Bona ti entrano dentro e si installano. Non se ne vanno più neanche dopo mezz’ora di voluto silenzio, quando ti affacci a “Su Camasinu” di Vanna e Gianmichele Columbu che della Malvasia hanno fatto un’opera d’arte. Lì ne assaggiamo tre tipi diversi accompagnandola con tocchetti di formaggio e miele. “Hai assaggiato questi cioccolatini che bene si sposano con la nostra Malvasia?” domanda Vanna che è friulana e che della Sardegna ha fatto la sua vita. Ho ancora in testa le note di “No Potho reposare” che ho suonato nella Cappella del Cottolengo e quei sapori ora sono ancora più marcati. Se a Bosa l’esclamazione di gradimento per un buon vino è “Custu vinu cheret chistionadu”, nella Cappella del Cottolengo non potevo fare altro che suonare una nota pulita e limpida come quelle 25 persone che ci abitano. “Chistionare”, parlare con ciò che si ha di bello da dire. L’Italian Trumpet Summit sembra cosa da venire e lì di note ne snoccioleremo tante, anzi tantissime. Andando via dalla cantina una donna in fardetta sta facendo il “Filet” con uno strano telaio per me sconosciuto. Le dicono chi sono e che sono una persona a modo. “A fora già paret bonu”, dice lei scrutandomi, “est de biere ite b’at a intro”. Fuori sembra bene, bisogna vedere cosa c’è dentro. Dopo pranzo Mario Fiumene, che è medico, ci porta a casa sua a lavorare e a riposare. Ci lascia le chiavi e ci dice di fare quello che vogliamo e dalla sua casa si vede il mare. Ci ha anche procurato una prolunga affinché io possa lavorare fuori e in cucina, ha lasciato un cesto di pesche di Magomadas e un vassoio di torrone di Tonara. Mi viene in mente il concerto nella piccola stazione ferroviaria di Belvì con Daniele Di Bonaventura e mi sembra che questo sia stato una vita fa e invece sono passati solo 15 giorni di Sardegna. Potremo essere da qualsiasi parte del Mediterraneo se non avessimo ancora negli occhi i visi di Caterina, Mariuccia, Nunzia, Pasqua, Gabriele, Franceschino e Bona che sono dentro e che ci ricordano che questa mattina eravamo a Bosa e che la giornata si è conclusa alle 12.30 con “No Potho reposare” e poi con una “Ave Maria” sarda a cui si sono uniti i suoni cantati a bocca chiusa dei vari presenti. Il concerto si tiene sotto la Torre Aragonese con la spiaggia a fianco e il mare dietro. Il posto non è grande la gente si disporrà dappertutto e stasera sarà seguito anche dalle barche in rada. Prima arrivano Stefano Bagnoli e Paolino Dalla Porta per i suoni della ritmica e poi tutti gli altri da Cagliari con aerei in tremendo ritardo. Non capita spesso di vederci tutti e cinque assieme. Cinque trombe italiane così diverse tra loro. Tutto nacque a Berchidda nel lontano 2001 per un festival dedicato al tema di Orfeo. Un festival dedicato al mito che cercava relazioni non solo con l’Orfeo cantore e musicista ma anche con la favola in musica di Claudio Monteverdi nella quale il geniale ed innovativo compositore cremonese scrive per primo, nell’introduzione all’opera, una parte per cinque trombe anche se, nel 1607, lo strumento non ha ancora né il nome né la fisionomia odierna. Da lì quindi l’idea di un festival sui trombettisti. Quelli “mitici” però. Mitici non solo perché conosciuti dal pubblico, ma perché con un’idea di suono personale, aerea e in qualche modo sognante. Erano l’americano Jon Hassell e poi a ruota il norvegese Nils Petter Molvaer, il polacco Tomasz Stanko, il Moscow Art Trio con il corno di Arkadij Shilkloper, il trombonista barese Gianluca Petrella, la macedone Kocani Orkestar e… mancava un sesto progetto. Un’idea folle. Un sestetto di trombe italiane! Anzi, una “Italian Trumpet Summit”! Chi chiamare però? Beh… c’era solo l’imbarazzo della scelta e dunque Rava, Ambrosetti, Boltro, Tamburini e Bosso. E poi, scusate, anche io visto che facevo gli onori di casa… Timoroso, chiamai Enrico a Corniglia credendo di aver pensato una fesseria immensa, e invece fu lui a dimostrarsi entusiasta! Chiamai Ambrosetti e idem! Forse è fatta, mi dissi, e telefonai poi a tutti gli altri, e tutti ebbero la stessa reazione. Il resto è nelle note della musica di un doppio CD che documenta la straordinaria magia di uno di quegli incontri che, a Berchidda, spesso divengono indimenticabili. Come il concerto di questa sera a Bosa che inizia con cinque trombe che scendono dalla Torre Aragonese perché Enrico, alla fine, non ha mai fatto parte del nostro progetto in quanto a Berchidda non venne per problemi di salute. Il “Trumpet Summit” dimostra quando sia l’unione a fare la forza e potrebbe essere una bella metafora. Presento Domenico Scanu della Associazione Onlus Luisa Monti per spiegare perché stasera siamo qui e alla fine del concerto la Presidente Antonella Deriu assegna un premio ad un medico che è nelle Filippine e che non è presente perché sarebbe troppo costoso. Ci sono cose ben più importanti sulle quali investire i denari. Anche noi riceviamo un dono. Uno per uno: cinque trombe, un piano, una batteria e un contrabasso. A pranzo chiedo a Domenico e Mario perché hanno deciso di organizzare il nostro concerto con il supporto del Comune di Bosa. È forse l’unico concerto dei 50 a non essere finanziato completamente dall’Amministrazione Comunale ma da privati cittadini che vogliono contribuire alla società. “Perché la solidarietà si esprime anche in questo modo” mi risponde Domenico che è medico anche lui all’Ospedale di Bosa, “nel modo civile e con la condivisione delle emozioni”. Non sappiamo quante persone c’erano questa notte. Sappiamo solo che eravamo circondati da gente che si perdeva a vista d’occhio. Notte magica questa di Bosa, tra Aragona e Planargia. Quale potere quello della musica. Chissà se i suoni delle nostre trombe sono potuti arrivare nello Slam in Langata Road a Nairobi, Tuuru, Chaaria, Gatunga, Mukothima, in Tanzania o nelle Filippine. Lo slogan dell’Associazione Luisa Monti è “Voliamo in alto”. Non fosse stato per le batterie che erano alla fine ci stava bene “Volare” di Domenico Modugno. Avevo pensato di suonarla anche questa mattina nella Cappella ma alla fine ero sfatto dalla vita.

Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche

jazz

La rassegna You Must Believe In Spring con Steve Lehman Sélébéyone, Mariasole De Pascali Fera e Tell Kujira

jazz

Si chiude l'ottima edizione 2024 del Torino Jazz Festival

jazz

Usato sicuro e un tocco british per il quarantunesimo Cully Jazz