Semele, opera o oratorio?

A Santa Cecilia il musical drama di Haendel nella splendida interpretazione di Gardiner, in versione semiscenica

Semele
Semele
Recensione
classica
Roma, Parco della Musica, Sala Santa Cecilia
Semele
08 Maggio 2019

Insidiato dalla concorrenza di altri teatri e deluso da un certa saturazione del pubblico inglese per l’opera, Haendel nel 1741 smise di comporre opere italiane e si dedicò all’oratorio. Si sa però che il lupo perde il pelo ma non il vizio e infatti nel 1744 compose il “musical drama” Semele, che era un ibrido tra l’oratorio, perché fu eseguito in forma di concerto durante la quaresima, e l’opera, perché il oggetto era non solo profano ma impregnato di un erotismo piuttosto scandaloso per l’epoca. Insomma in SemeleHaendel prende il meglio dell’oratorio e dell’opera e ne scarta i vincoli. Dall’oratorio prende la libertà da rigidi schemi formali, alternando senza schemi precostituiti i recitativi (quelli accompagnati prevalgono sui secchi), le arie, i duetti e gli altri pezzi d’insieme e soprattutto i cori, che costituivano una carta vincente dei suoi oratori. Dall’opera prende il soggetto mondano, più vicino alla sensibilità del pubblico (non so all’epoca, ma oggi sicuramente sì) per la drammaticità e l’erotismo: la libertà di Haendel si riconosce anche dal fatto che rifiutò l’opera metastasiana allora trionfante e le sue storie in cui alla fine la virtù trionfa sempre, e si ricollegò alle più spregiudicate opere della fine del secolo precedente, soprattutto veneziane, che avevano un debole per gli amori disinibiti tra divinità greche e mortali di ambo i sessi e che non si prendevano troppo sul serio, mescolando tragico e comico.

Insomma Haendel, al culmine della sua maturità artistica, volle per una volta liberarsi totalmente dalle regole imposte dalla tradizione e fare quel che più gli piaceva. Ne nacque  inevitabilmente un mezzo scandalo e ma noi oggi possiamo riconoscere in Semeleun capolavoro. Si può capire che all’epoca abbia avuto scarsissima circolazione, ma è incomprensibile che ancora oggi sia una rarità. Perfino un grande haendeliano come Sir John Eliot Gardiner non l’ha più diretta dopo averla incisa  nel lontano 1993. Ora, per la felicità di tutti gli haendeliani, l’ha rimessa sul leggio e l’ha portata in una tournée europea che si è conclusa con due tappe italiane, alla Scala e all’Accademia di Santa Cecilia.

Quest’esecuzione è apparsa perfino migliore dell’incisione, non solo perché recupera qualche frammento di musica ma perché Gardiner domina ancora più sovranamente questa musica, gloriosa nel suo fascino sonoro, morbida nella sua insinuante sensualità, disinibita nella sua popolaresca comicità. E perché il Monteverdi Choir e gli English Baroque Soloists - superate le remore dei barocchisti d’un tempo, che pensavano che il suono autentico dovesse essere un po’ trattenuto, per non dire striminzito - cantano e suonano ancor più superbamente di prima. E soprattutto si è potuto godere dei progressi dei cantanti solisti dell’ultima generazione, che si sono formati a questa tecnica e a questo stile fin dall’inizio e non vi si devono adattare con lo sforzo che spesso trapelava dalle voci dei loro predecessori. È affascinante la Semele di Louise Adler, che con la sua voce pura e raggiante esprime meravigliosamente il suo abbandono totale all’amore per Giove, ma anche i suoi progressivi dubbi sull’amato che la spingono infine alla fatale richiesta, da cui deriverà la sua morte, quando l’amato acconsentirà a mostrarsi nel fulgore insostenibile del suo aspetto divino. Giove è Hugo Hymas, che ha voce di perfezione quasi divina, sia per la bellezza del timbro che per l’assoluta padronanza tecnica, ma che non ha interamente la maestà che ci si attenderebbe dal re dell’Olimpo: tuttavia va detto che in Semele Giove viene presentato più come un giovane perdutamente innamorato che come un dio. Si guadagna i galloni di altro protagonista Gianluca Buratto, che interpreta prima Cadmus con voce piena e omogenea di basso, poi Somnus con vis comica irresistibile. Interpreta due personaggi – Ino e Giunone – anche Lucile Richardot, che sfrutta intelligentemente la voce non baciata da un bel timbro e le agilità un po’ aspre per caratterizzare l’antipatia e la perfidia della gelosa e vendicativa sposa di Giove. Athamas, tenero amante non ricambiato di Semele, ha la voce di Carlo Vistoli, incredibilmente limpida e timbrata per un controtenore.

Per rendere la natura ambigua di Semele, per metà oratorio e per metà opera, Gardiner ha voluto rappresentarla in una sala da concerto ma con elementi teatrali, affidati a Thomas Guthrie per la regia e a Patricia Hofstede per i costumi. I loro interventi erano molto puntuali: appena avvertibili, quando non erano particolarmente necessari e anzi potevano diventare controproducenti, molto presenti invece quando erano utili a sottolineare i momenti più teatrali di Semele, per esempio la rabbiosa gelosia di Giunone e la comica pigrizia di Somnus.

Pubblico giustamente entusiasta e generoso di applausi.

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