Se il kocek si fa funky
La Kocani Orkestar non scende sotto i centotrenta di metronomo
Recensione
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Il caotico albero genealogico della fanfara di Kocani, cittadina macedone prossima alla Bulgaria, ci costringe a precisare che si tratta degli undici musicisti che ora incidono per la Crammed piccole perle come il recente "The Ravished Bride". Come da copione anche al torinese Teatro Espace, per la rassegna di Musica 90, i musicisti non hanno affatto voglia di scendere sotto i centotrenta di metronomo se non in rari casi, anzi. L'ingolata e sofferente voce di Ajnur Azizov ha un bel da fare nel frenetico bailamme della fanfara: dopo un esordio al fulmicotone in strumentale, il cantante raggiunge l'Orkestar sul palco per sfoderare quanto più carisma possibile. È sempre un piacere osservarli tutti insieme sul palco: mentre la sezione ritmica di tube e percussioni (uno strepitoso tapan trasparente, per altro, roba di lusso e luminescenza) pompa ben affiatata, i solisti fanno a gara a chi inanella più note. Dalle trombe alla fisarmonica, passando per il clarinetto del "direttore" Dzeladin Demirov, è un inseguimento che si conclude regolarmente con la chiamata dell'applauso da parte del resto del gruppo: gli spettatori del parterre non si tirano indietro. Con gli anni il suono della Kocani, così come quello di altri illustri colleghi, si è fatto più furbo mescolando alle vorticose danze tradizionali kocek o horo elementi swing o persino dance, rendendo i loro eccessi ritmici e melodici quasi funky; in una parola, irresistibili. Merita una parola il "finale nel finale": prima di scendere come tradizione tra il pubblico per l'ultimo giro, la fanfara ha dedicato a Giampiero Gallina il tradizionale sardo "Non potho reposare", momento di altissima emozione. Convertito immediatamente in passione con il "Bombarolo" di De Andrè, una chiamata all'azione a passo di danza.
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