Sangue e arena o Ercole all'opera

William Christie torna a Aix con un superbo "Hercules" di Haendel. E' l'occasione per il regista Luc Bondy per accostarsi all'opera barocca. Gli fa da spalla lo scenografo Richard Peduzzi noto per le sue collaborazioni con Patrice Chéreau. Nel cast, trionfa Joyce DiDonato nei panni della gelosa, fino alla pazzia, Dejanire.

Recensione
classica
Festival d'Aix-en-Provence Aix-en-Provence
G. F. Haendel
13 Luglio 2004
E il festival fu. Alla fine, la più mediatizzata manifestazione musicale di Francia si sta tenendo, con ansie e paure, ma senza le soppressioni tanto temute. I minacciosi "intermittenti" hanno scelto di tenere alta la tensione, ma hanno capito che non potevano far saltare il festival per il secondo anno di seguito. Certo, le ripercussioni si sono fatte sentire: molti i biglietti invenduti. Ma gli spettacoli vanno, comunque, avanti. Con grande sollievo per Stéphane Lissner, direttore del Festival. E "Hercules" si impone come uno degli appuntamenti più appetibili. Innanzi tutto, per William Christie e i suoi Arts Florissants che, probabilmente, speravano di ripetere il miracolo dell'anno 2000 con un indimenticabile "Il ritorno di Ulisse in patria" che è stato poi giustamente ripreso. Il bis è riuscito? Forse non proprio, ma è mancato poco. Purtroppo, Christie, che riesce a regalare agli spettatori di Aix alcuni grandi momenti magici con i tempi lenti e con le sonorità spinte verso il pianissimo, non sfugge al demone della monotonia. Il suo Haendel fa rimpiangere i contrasti e gli eccessi di un'esecuzione più fuocosa. Luc Bondy riesce, invece, a dimostrare che pure un oratorio può beneficiare di una regia intelligente. Sobria, discreta quasi fino al volersi fare dimenticare, la direzione di Bondy è, al contrario, essenziale: illumina le tensioni tra i personaggi, non solo quelle triangolari (Hercules/Dejanire/Iole), ma anche quelle tra padre e figlio (Hercules/Hyllus). E cosi' i "da capo" assumono una funzione drammaturgica nuova. Funzionali, poi, le scene di Richard Peduzzi: pochi oggetti, sempre quelli da un atto all'altro, ma disposti diversamente. Segno di una continuità nel cambiamento e nell'evoluzione? L'ottimo cast aveva le sue stars. Specie quella raggiante di Joyce DiDonato nei panni di Dejanire. Superba sia per timbro sia per agilità (lo testimoniano le sue varianti vocali, in particolare nei "da capo"). Risplendeva pure il tenore Toby Spence, alter ego degno del baritono William Shimell. Seducente il colore del soprano Camilla Tilling, non altrettanto convincente per agilità. Uno spettacolo, certo, da non perdere. La partitura, l'alta qualità dell'esecuzione e la magia del luogo fanno facilmente dimenticare che si esce dal Théâtre de l'Archêveché a quasi un'ora e mezza del mattino.

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