Rossini alla Muti

Il "Moïse et Pharaon" diretto da Muti con la regia di Ronconi è una produzione che esprime pienamente lo stile delle due firme

Recensione
classica
Teatro alla Scala Milano
Gioachino Rossini
07 Dicembre 2003
Cinque ore fitte di spettacolo (anche gli intervalli ne fanno parte, a S. Ambrogio), per quella che viene annunciata come l'ultima Inaugurazione scaligera agli Arcimboldi. Tocca a "Moïse et Pharaon", un megalìte denso di cori, balli, scene grandiose e interventi soprannaturali, con cui sia Muti sia Ronconi si trovano a perfetto agio. L'uno tiene le fila dello spettacolo con la consueta acribìa, ma rinunciando a certi abituali estremismi, a favore di tempi ben misurati, sonorità morbidissime (sarà la suggestione nel vederlo dirigere senza bacchetta?) e lasciando persino liberi i cantanti di prodursi in quei liberi interventi sul testo dettati dalla coeva prassi esecutiva che solitamente rifiuta nel giovane Verdi e non pretende in Mozart. L'altro ottiene dalle scene di Gianni Quaranta il pieno inveramento della propria poetica, con un coacervo di elementi simbolici storicamente e stilisticamente eterogenei, dove le dune del deserto convivono con l'interno di un'ideale sinagoga, gli organi barocchi coi violinisti klezmer, le onde e le nuvole di cartapesta coi passi stilizzati delle ormai classiche coreografie di Micha van Hoecke (primi ballerini d'eccezione: Luciana Savignano, Roberto Bolle, Desmond Richardson). Quasi sempre dislocato al proscenio, il cast vocale può far brillare le proprie prerogative, in una partitura che offre ben poco spazio a esibizioni personali: ed ecco l'efficace declamato del protagonista Ildar Abdrazakov, in una parte quasi priva di frasi cantabili, la solarità canora mai troppo lodata di Giuseppe Filianoti (se solo nei momenti di maggior tensione non arrivasse così spesso a un passo dall'incrinarsi...), la potenza sonora di Erwin Schrott (subentrato nel ruolo di Pharaon all'annunciato D'Arcangelo), la grazia tenorile di Tomislav Muzek (come fratello di Mosè). Su tutti svettano le due donne. Sonia Ganassi s'impone per l'eleganza aristocratica con cui veste i panni vocali della regina egizia, riscuotendo un particolare successo nella grande aria originariamente scritta per Isabella Colbran e dimostrandosi così l'interprete oggi più idonea a riproporre quei ruoli vocalmente ambigui. Barbara Frittoli (checché abbia voluto esprimere un paio d'impenitenti contestatori) eccelle per perfezione vocale e intensità espressiva nella sua non meno impegnativa aria di conflitto interiore, dimostrando ch'è ormai tramontata l'epoca degli specialisti di Rossini, autore finalmente tornato a essere appannaggio di tutti i grandi belcantisti. Il plauso finale è dovuto sopra ogni misura a Bruno Casoni e al suo assistente Alberto Malazzi per la perfezione ottenuta dalla compagine corale, vera protagonista della serata.

Note: Nuovo allestimento

Interpreti: Moïse, Ildar Abdrazakov; Pharaon, Erwin Schrott; Aménophis, Giuseppe Filianoti; Sinaïde, Sonia Ganassi; Anaï, Barbara Frittoli; Tomislav Muzek; Giorgio Giuseppini; Nino Surguladze; Maurizio Muraro Ballerini: Luciana Savignano, Roberto Bolle, Desmond Richardson

Regia: Luca Ronconi

Scene: Gianni Quaranta

Costumi: Carlo Diappi

Corpo di Ballo: Corpo di Ballo del Teatro alla Scala

Coreografo: Micha van Hoecke

Orchestra: Orchestra del Teatro alla Scala

Direttore: Riccardo Muti

Coro: Coro del Teatro alla Scala

Maestro Coro: Bruno Casoni

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