#ripjimhall

Un ricordo del maestro della chitarra jazz

Recensione
jazz
Chi frequenta con una certa costanza i social network lo sa bene. Non passa mese (a volte nemmeno settimana) che non capiti a un certo punto della giornata di apprendere dallo status di Facebook di qualche amico che un grande del jazz è morto.

I minuti che seguono sono spesso frenetici.

Il rischio bufala – allunga la vita si diceva una volta – è sempre possibile e allora via su Twitter a mettere #nomedelpresuntomorto per verificare, sperare che no, vedere se chi lo dice è davvero uno che può saperlo e così via.

Però è spesso vero e si ha sempre un po’ la sensazione che il ritmo della falce sia diventato più frequente e incalzante, in una sorta di macabro swing. La realtà è che la rete ha questa capacità virale e emotiva di far girare le notizie e, soprattutto, che molti grandi del jazz sono ahinoi pericolosamente vicini alla fine dal punto di vista anagrafico.

E così, nel giro di poche settimane, è toccato al batterista Chico Hamilton (92enne), al pianista inglese Stan Tracey (che di anni ne aveva quasi 87) e al chitarrista Jim Hall, che ne aveva appena compiuti 84 e se n’è andato improvvisamente nel sonno.
Come è capitato a molti, ho conosciuto Jim Hall attraverso Bill Evans, negli anni dell’adolescenza in cui – con l’amico Alberto implacabile spacciatore di delizie jazzistiche – passavamo i pomeriggi a farci cullare dalle note dolci della sua chitarra, annuendo con tono sapiente quando qualcuno dei due, a turno, proclamava solennemente la superiorità del lirismo di Hall rispetto al virtuosismo di un Joe Pass.

Anche poi, quando pure la chitarra jazz era scesa vertiginosamente nella classifica dei miei interessi, me lo sono sempre ritrovato come una moneta preziosa nella tasca, Jim Hall.
Con Art Farmer, in dischi di Jimmy Giuffre che ho consumato, ovviamente con lo spettacolare Sonny Rollins di The Bridge, per arrivare al trio con Petrucciani e Wayne Shorter che potete sentire e vedere nel video qui sotto.



Non c’era strumentista che non lo considerasse un punto di riferimento, da Pat Metheny a Bill Frisell. Non c’è incisione in cui il suo fraseggio non sia elegante e misurato, eppure denso di significati.
Ho perdonato a Jim Hall anche un concerto noiosissimo in duo con Charlie Haden qualche anno fa.
Come avrei potuto altrimenti, dal momento che la sua musica ha riempito di poesia (e continuerà a farlo attraverso i dischi e i video in rete) molte ora della mia vita?
Con quell’aria da bonario impiegato di mezza età (una precoce calvizie ce lo ha in fondo sempre fatto "vedere" così), i terribili gilè in pelle su camicie dai colori e dai tagli improbabili, era impossibile non trovarlo irresistibile.

Uno che anche il giorno delle proprie nozze non aveva rinunciato all’ingaggio serale.

Uno che sapeva intrecciare linee melodiche morbidissime con gli artisti con cui dialogava e accordi di brillante semplicità.

Il tempo corre velocissimo.

Dopo pochi giorni non ci ricordiamo quasi più di tragedie terribili che riempiono le prime pagine dei giornali. La neve e gli auguri natalizi sommergeranno anche questo #ripjimhall e i tanti bellissimi video che vengono condivisi sul web in queste ore dalla comunità degli appassionati.

Ma non me ne curo. Sei sempre nella mia tasca come una moneta preziosa, signore della chitarra.

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