Pergolesi ritrovato

Cronache dal Festival di Jesi

Recensione
classica
La “Lacrimosa memoria, sorridente levità” , che dà il titolo al XV Festival Pergolesi Spontini di Jesi, l’ho trovata bene espressa nel concerto inaugurale del 4 settembre dedicato alla memoria di Francesco Degrada a dieci anni dalla scomparsa. Un programma tutto di musiche pergolesiane, naturalmente, per rendere omaggio a chi intorno al compositore jesino ha impostato il lavoro di ricerca e di valorizzazione delle opere che informa la Fondazione Pergolesi Spontini fin dalla sua costituzione. Il tono dolente e di mistico raccoglimento che caratterizza le opere sacre di Pergolesi (in programma il Salve Regina in do minore, nella trascrizione in fa minore per contralto, quello meno noto in la minore per soprano e lo Stabat Mater) è stato mirabilmente reso dalle splendide voci di Eva Mei e Sara Mingardo, accompagnate da Alberto Martini concertatore e violino solista dell’Accademia Barocca de I Virtuosi Italiani. Due voci in verità molto diverse, fascinose per meriti diversi. Morbidezza negli attacchi e nella estinzione dei suoni, ricchezza dinamica e straordinaria sonorità dei pianissimi hanno caratterizzato l’interpretazione carica di intimismo della Mingardo, contralto dal timbro brunito e caldo, molto diverso da quello adamantino della Mei, virtuosa di grande talento che in queste pagine sacre ha dato quasi l’impressione di voler trattenere una spontanea predilezione per l’esplosione canora. I Virtuosi Italiani hanno accompagnato le due soliste secondando con raffinatezza l’espressione degli affetti, e lasciando prevaricare la pura musica nelle pagine in tempo veloce e nei fugati.

Il secondo concerto che ho avuto il piacere di seguire, il 7 settembre, era invece interamente dedicato allo Spontini meno noto, quello della musica vocale da camera. Ad accrescere la suggestione della musica, il luogo e la sua sorprendente acustica: la galleria degli stucchi di Palazzo Pianetti, a Jesi, (ora pinacoteca, con vari dipinti di Lorenzo Lotto e un ritratto ufficiale di Spontini ad opera di Louis Hersent, 1821), unico esempio nel centro Italia di stile rococò, luogo ideale per assaporare un repertorio che proprio nei palazzi dell’aristocrazia trovava il suo pubblico ideale. La romance era infatti un genere molto diffuso nei salons parigini del primo Ottocento, un genere che non aveva pretese di musica d’arte e che era destinato ai dilettanti. Rousseau nel suo Dictionnaire de Musique la dice infatti caratterizzata da “una melodia dolce, naturale, rustica, tale da produrre il suo effetto di per sé, indipendentemente dal modo in cui è cantata […..] Per il canto della romanza non occorre che una voce intonata, chiara, dotata di una buona pronuncia e che canti con semplicità”. E in effetti semplici, per lo più strofiche, con melodie sillabiche e di ambito limitato sono le prime romances che Spontini compose al suo arrivo a Parigi, nel 1803; ma si tratta di una semplicità voluta e studiata, tale da non rendere tale reperorio banale ma al contrario deliziosamente raffinato ed elegante. L’Amakheru Duo (tenore Francesco Santoli, pianista Simone Di Crescenzo) ha proposto alcune di queste rare composizioni, scritte tra il 1803 e il 1847, accanto a delle arie italiane. Cangianti le situazioni affettive descritte, dalla sofferenza, alla languidezza, al dolore, al sogno fino alla semplicità gioiosa, che la voce duttile di Santoli ha reso con grande espressività e cura per i significati delle singole parole e per la dizione francese. Nei brani più maturi non è stato difficle cogliere elementi di teatralità, sia attraverso le linee vocali più libere e meno legate alla phrase carrée, sia attraverso la maggiore densità dell’accompagnamento pianistico. A fine programma un brano particolarissimo: i versi che Adolphe Nourrit scrisse, due giorni prima del suicidio, e che Giovanni Schmidt adattò alle note della preghiera di Giulia nel finale secondo della Vestale. L’esecuzione delle romances e delle arie è stata accompagnata dalla lettura di alcuni stralci delle ultime lettere che Spontini scrisse da Parigi pochi mesi prima di tornare, nel settembre 1850, nel paese natale, Majolati, dove morì nel gennaio dell’anno successivo.

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