Opere comiche moderne a Rieti e a Roma
Tre sintetici atti unici di Rota, Barber e Panni in scena al Reate Festival, a Nuova Consonanza e all’Università Roma2
21 novembre 2025 • 5 minuti di lettura
Rieti, Teatro Flavio Vespasiano. Roma Teatro Palladium e Auditorium dell’Università di Roma Tor Vergata
Trittico Rota Barber Panni
09/11/2025 - 19/11/2025Il 17 giugno 1959 al Festival dei Due Mondi di Spoleto vennero rappresentate in prima assoluta “La scuola di guida” di Nino Rota e “Una mano di bridge” di Samuel Barber. Queste due mini opere - la prima dura poco più di dieci minuti, l’altra poco meno e viene considerata l’opera più breve che sia stata mai scritta - erano state commissionate da Gian Carlo Menotti a due compositori come lui quasi cinquantenni, che come lui scrivevano musica d’immediata comprensibilità. Ignorare totalmente quel le avanguardie musicali di quegli anni e anzi fare impudentemente il contrario di quel che predicavano, era una sfida e una provocazione. A quel tempo sarebbe stato impensabile che Nuova Consonanza le mettesse in programma.
Oltre mezzo secolo dopo queste due operine continuano a girare felicemente per festival e teatri. Una delle ragioni del loro successo è che non fanno scervellare con una scrittura musicale astrusa né mettono sul tavolo dilanianti problemi esistenziali o questioni sociali, ma al contrario vogliono ‘soltanto’ far sorridere e sono scritte in modo semplice e comprensibile. Ora sono state accostate - andando così a formare un trittico - a un altro atto unico, “Lo stratagemma dell’avvocato Manigoldi” di Marcello Panni, che come le due operine di Rota e Barber è stato originariamente scritto per voce e pianoforte e come tale è stato rappresentato l’anno scorso al Festival Nuovi Spazi Musicali di Ascoli Piceno. Ora Panni ne ha fatta una versione per un ensemble di sei strumenti, che è stata eseguita in prima assoluta nei giorni scorsi dal Reate Festival al Teatro Flavio Vespasiano di Rieti e poi da Nuova Consonanza al Teatro Palladium di Roma e da Roma Sinfonietta all’Auditorium dell’Università di Roma Tor Vergata. Con la collaborazione del Teatro dell’Opera di Roma.
La serata iniziava con “La scuola di guida”. Il libretto di Mario Soldati è brevissimo e consiste per lo più in frasi di poche parole, al massimo di poche righe, tranne un monologo relativamente lungo, ma certamente non wagneriano, di Lui, ovvero l’istruttore. La musica di Rota, magistrale e perfino elegante nella sua semplicità, racconta speditamente questa lezione di guida, che si svolge in un’automobile che precede a strappi e sobbalzi per i tanti piccoli errori di Lei, l’allieva. L’umorismo in effetti gira intorno al tema delle ‘donne al volante’, che ha fatto il suo tempo, ma viene trattato con mano leggera e spiritosa per dar vita ad una serie di inconvenienti e situazioni buffe, che si concludono con l’auto che si schianta contro un albero e i due che dalla forza dell’urto vengono spinti l’una nelle braccia dell’altro e si baciano. Happy end!
Non altrettanto mirato a suscitare il sorriso e perfino un po’ intellettualistico è il libretto preparato (originariamente in inglese ma qui tradotto in italiano da Marcello Panni) per Barber dall’amico Menotti, che non era inesperto in materia, avendo scritto dei libretti anche per se stesso. I quattro personaggi (due coppie) giocano a bridge, però ognuno, mentre gioca, pensa a qualcos’altro. Sally pensa a un cappellino rosa, che vorrebbe comprare; suo marito Bill a una certa Marylin, alla sua bocca, ai suoi capelli, al suo profumo, al suo “petto enorme”; David ai soldi, sognando di diventare ricco come Morgan, l’Aga Khan e Rockefeller e di avere “venti nude girls e venti nudi boys stesi sul [suo] letto” (profetica anticipazione di Epstein & C); Geraldine pensa invece alla mamma, supplicandola di non morire (un sentimento apparentemente migliore degli altri, che però come gli altri è il sintomo d’una nevrosi). A chi vive oggi a varie decine di anni e varie migliaia di chilometri di distanza, che sia a Rieti o Roma o qualsiasi altra parte del globo, tutto questo appare molto newyorkese, forse un po’ lontano nel tempo e nello spazio. Ma non troppo, a guardar bene. Non si saprebbe dar torto a Barber se non ne fa una brillante opera comica e scrive una partitura piuttosto complessa e ricercata, pur non spingendosi nel profondo di quei quattro tipi nevrotici e limitandosi a sfiorare la loro psiche.
Senza intervallo si passava alla ‘farsa in un atto e tre scene’ di Panni, che ne ha tratto personalmente e liberamente il libretto da una piccola commedia di Bruno Corra, che oggi è dimenticato ma ebbe un ruolo importante negli anni dieci del secolo scorso, quando firmò con Marinetti il “Manifesto del teatro futurista sintetico”. A differenza delle due mini opere precedenti, quest’atto unico dura oltre mezz’ora e ha il tempo d’inanellare diverse situazioni e anche qualche colpo di scena, a un ritmo comunque molto spedito e senza mai perdersi in lungaggini. La trama potrebbe dirsi perfino complessa, tanto che riassumerla richiederebbe troppo spazio. Giustamente Panni stesso la paragona a quella delle farse di Rossini, avendo gli stessi ingredienti, ovvero l’amore di una ragazza sveglia per un ragazzo un po’ imbambolato (in questo caso solo apparentemente), contrastato da un padre che bada soltanto alle convenienze economiche di questo rapporto e che alla fine viene beffato. La musica procede sorretta da un ritmo marcato e spedito, senza soffermarsi nemmeno per un momento su eventuali risvolti sentimentali, con linee di canto spigolose e un’orchestrazione graffiante e colorata. A questo proposito, Panni è abilissimo a ricavare un tessuto orchestrale denso e ricco da un piccolo ensemble, condensando un’intera orchestra in soli sei strumenti: due archi (uno acuto, il violino, e uno grave, il violoncello), due fiati (flauto e clarinetto), una tastiera (pianoforte) e le percussioni.
Panni, che è anche un ottimo direttore d’orchestra, ha concertato e diretto con vivacità e precisione i cinque cantanti e l’Ensemble Roma Sinfonietta. I cantanti (cinque nell’operina di Panni, quattro in quella di Barber e due in quella di Rota) erano vivaci e spigliati, ma un po’ penalizzati dall’acustica, che li costringeva talvolta a spingere un po’ troppo, a discapito della leggerezza che quest’operine comiche richiederebbero: erano Sabrina Cortese, Federica Paganini, Federico Benetti, Alessandro Fiocchetti e Daniele Adriani. Da sottolineare la prova del pianista Monaldo Braconi, che sosteneva da solo la parte strumentale delle operine di Rota e Barber, che - come già detto - originariamente prevedevano l’accompagnamento del solo pianoforte e soltanto in seguito sono state orchestrate.
Cesare Scarton firmava la regia, in cui si riconosceva il suo stile sempre misurato, equilibrato e attento a valorizzare la musica più che a mettere in mostra se stesso. Le scene erano di un artista di rango quale Gianni Dessì, i costumi di Anna Biagiotti e le luci di Andrea Tocchio. Il programma di sala annunciava i sopratitoli, che invece erano purtroppo assenti (almeno nella recita al Teatro Palladium, di cui qui si riferisce) mentre sarebbero stati utilissimi a seguire ogni istante del testo, com’è indispensabile in queste operine veloci e brillanti. Platea piena e accoglienza divertita e festante.