“Omaggio a Roma” di Anna e Yusif

Grande e prevedibile successo per il concerto lirico della coppia Netrebko-Eyvazov al Circo Massimo

Netrebko & Eyvazov (Foto Yasuko Kageyama)
Netrebko & Eyvazov (Foto Yasuko Kageyama)
Recensione
classica
Roma, Teatro dell’Opera al Circo Massimo
Omaggio a Roma
06 Agosto 2020 - 09 Agosto 2020

La stagione open air del Teatro dell’Opera al Circo Massimo è ormai quasi conclusa e tra le ultime repliche del Barbiere di Siviglia  e della Vedova allegra  in forma di concerto (si sarebbe detto che fossero le opere meno adatte ed essere eseguite con gli interpreti costretti all’immobilità, ma l’esito è stato molto felice,  smentendo totalmente questa profezia) si sono inserite due repliche del concerto di Anna Netrebko e Yusif Eyvazov, con Jader Bignamini sul podio. Il titolo “Omaggio a Roma” poteva sembrare vuota retorica, ma forse trovava una sua motivazione in qualcosa di molto personale, cioè nella gratitudine dei due cantanti russi nei confronti di Roma, perché il  loro amore - perdonate questo scivolone nel gossip - è sbocciato sotto il Cupolone, in occasione di una Manon Lescaut diretta da Riccardo Muti. L’omaggio a Roma non si limitava al titolo ma si concretizzava nello spazio particolarmente ampio dato a due opere nate a Roma, Cavalleria rusticanae Tosca. E Roma tornava nel terzo e ultimo bis, con una canzone che fa sciogliere il cuore di ogni romano, quando inizia “Sotto un manto di stella / Roma bella mi appar”, ma poi scade nella banalità, non però questa volta che a cantarla era Yusif Eyavzov, protagonista assoluto di questo brano, mentre la sua Anna si accontentava per una volta del ruolo di comprimaria.

Il tenore russo in questi anni si è trasformato rispetto al rozzo Des Grieux che avevamo ascoltato in quella Manon Lescaut di sei anni fa ed è diventato un cantante di rango. È molto accurato, fa tutto quel che è scritto sullo spartito – non è affatto scontato, data l’approssimazione che regna soprattutto in campo tenorile - e lo fa bene, non come un compitino, perché ci mette anima e vita: pensiamo a “È la solita storia del pastore” dall’Arlesiana  di Cilea e soprattutto a “Mamma, quel vino e generoso” da Cavalleria rusticana  di Mascagni, dove passione e foga non scadono mai nel “malcanto” verista. Il suo limite è in un timbro che non è baciato dagli dèi, ma ciò nonostante riesce a essere molto sensuale nella frase più sensuale della storia dell’opera – ovviamente  “O dolci baci, o languide carezze, mentr’io fremente le belle forme disciogliea dai veli” -  dove il timbro gioca un ruolo fondamentale. E in questa stessa aria “Muoio disperato” appare ancora più disperato proprio perché vi si mescola un attaccamento fisico e sensuale alla vita. Non è certamente estranea a questo risultato l’ottima dizione, che rende chiara ogni parola e le dà la giusta inflessione.

Bravo Yusif! E Anna? Uno splendore. Bastano le prime note che escono dalla sua ugola - “Del sultano Amuratte…” di Adriana Lecouvreur, con il radicale cambio di espressione tra le due ripetizioni della frase -  a mettere in chiaro che voce e che temperamento abbia e a spazzare ogni possibilità di resistere al suo fascino. L’applausometro sale ancora  dopo “Vissi d’arte” e raggiunge il massimo dopo il “Canto alla luna” dalla Rusalka di Dvorak, un po’ a sorpresa, perché non è certamente un brano popolare in Italia, ma evidentemente anche il pubblico di patiti della lirica ultratradizionalisti che di solito frequenta questo tipo di concerti non è del tutto refrattario ad ascoltare qualcosa di nuovo.

Nei duetti la complicità tra i due – compagni nella vita prima che sul palcoscenico - è deliziosa. Il grande schermo montato dietro l’orchestra permette di cogliere  gli sguardi che si scambiano, i gesti con cui si sfiorano e altri minimi dettagli, che altrimenti sfuggirebbero: forse recitano, ma tutto sembra vero e spontaneo ed ottiene l’effetto voluto. Hanno cantato duetti da Otello, Andrea Chénier e Tosca, e quest’ultimo è stato il capolavoro della Netrebko.  Più che un duetto è una scena articolata in vari episodi, ognuno dei quali  rivela un aspetto di Tosca e tutti insieme la sua volubilità. La Netrebko ha colto perfettamente questi continui cambiamenti, sottolineandoli uno per uno con quel tantino di esagerazione connaturato al carattere di una prima donna qual è Tosca: sicuramente le è riuscito naturale, naturalissimo.

Tre arie per lui, tre arie per lei, tre duetti. E cinque brani per l’orchestra, molto ben diretti da Jader Bignamini, bravo anche nell’accompagnare i due cantanti senza ombra di routine né di sudditanza ma da terzo protagonista. L’orchestra era in buona forma – citazione speciale per i soli del violoncellista Massimo Bastetti e del clarinettista Angelo De Angelis - nonostante il distanziamento tra gli strumentisti rendesse talvolta problematico il giusto equilibrio tra le varie sezioni.

Lasciamo immaginare il successo, ricambiato con tre bis.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche

classica

Al Theater Basel L’incoronazione di Poppea di Monteverdi e il Requiem di Mozart in versione scenica

classica

Un'interessantissima lettura della Nona

classica

Il pianista per la rassegna Landscapes della Fondazione Benetton