Non c'è carciofo senza spine

diario del 12 luglio

Recensione
jazz
A Uta, terra di carciofi, ci arrivi facilmente. Se sei nel sud della Sardegna tanto più ma se sei nel nord non è poi una distanza abissale quella di Uta dal resto dell’Isola. È che noi sardi abbiamo una coscienza geografica continentale, come è continentale, per dirla alla Marcello Serra, l’Isola stessa. Ad esempio noi siamo partiti da Berchidda che da Uta dista più di 50 chilometri e siamo arrivati lo stesso. Più di 50 chilometri in Sardegna è un viaggio. Potrebbe essere 60 o 400 ma non di più a meno che uno non decida di circumnavigare l’Isola due o tre volte di seguito. È che le distanze sarde non sono tanto i chilometri ma le menti e se questo è il nostro dramma è anche la nostra salvezza. Continente dunque, perché 50 chilometri tra Bologna e Parma sono niente mentre in Sardegna sono un viaggio ed è bello così. A dire il vero il nostro operatore video Antonio Cauterucci mi avrebbe dato un passaggio in un aeroplanino da due posti. Saremmo decollati a San Teodoro e atterrati a Siliqua non lontano da Uta e poi avremmo proseguito con la sua macchina. Un aeroplanino giallo che sembra un giocattolo e che invece vola sul serio e puoi andare dove ti pare, con 1500 cc di cilindrata come una nuova Cinquecento che consuma anche poco, a vedere il mondo dall’alto. Altro che incentivare il traffico su rotaie… Invece gli si sono rotti i freni all’aeroplanino giallo e io mi sono rimesso nella nostra “Polo” con il marchio di “!50” che è stata ribattezzata da Gianni Melis la “P(a)olo” in partenza alla volta di Uta nel Campidano che dista più di 50 chilometri da Berchidda.
E allora ci sta bene, nell’improbabile palco davanti alla Chiesa di Santa Maria, la lettura dell’utese Flavio Soriga che dice che da Sassari a Cagliari in macchina ci si mette meno perché la strada è in discesa e che i carciofi di Uta costa di più spedirli da Uta a Roma che comprarli a Trastevere, quelli senza spine, che alla fine costano uguali o di meno e non sono inquinati dagli scarichi dei caccia spagnoli che partono la sera, durante il reading-concerto di ieri sera con Lella Costa, per andare a bombardare in Libia passando ad altezza di carciofo e poi prendendo il largo per ritornare la notte quando Lella Costa legge “Passavamo sulla terra leggeri” e “Bellas Mariposas” di Sergio Atzeni e la gente piange dentro di sé e anche fuori per quella contemporaneità che è epica e nuragica nello stesso tempo. Lella legge anche Niffoi che è più sirvone dei cinghiali di Capoterra, legge Antonella Anedda che è leggera e Milena Agus tra Genova e Castello ma ci sarebbe da leggere molto altro dei sardi se il tempo non fosse tiranno. “Carciofi a Roma? Ohia!”
E i carciofi forse non li trovi a Uta e li trovi a Trastevere più buoni o forse no. Con spine e senza ma non li trovi nella stazione di servizio di Tramatza sulla Statale 131 detta Carlo Felice dove ti fermi e fa un caldo bestia e quando chiedi un piatto caldo ti dicono che ci sono gli stessi panini di plastica che trovi negli Autogrill tra Bologna e Milano. “Camogli”, “Icaro”. “Capri”. E un bel panino con “casizzolu” del pastore che abita a cinque chilometri no eh? Uno con salsiccia di Irgoli che lo chiami proprio “Irgoli” che non ha niente da invidiare a Camogli no eh? E una pasta di malloreddus fatta a mano da due tzie che stanno lì tutto il giorno ad impastare e fare maccarrones de pundzu, col dito come si faceva una volta che si fermerebbero tutti e sarebbero anche nella Guida Michelin no eh? Finisce che ci sediamo in una saletta interna tristissima a mangiare un piatto di spaghetti al pomodoro implasticati e scaldati al microonde e poi arriviamo a Uta che i nostri tecnici stanno convincendo il parroco-ingegnere Don Ferdinando, uno dei pochi parroci giovani vestiti ancora con la tonaca, ad aprirci la chiesa affinché la si possa illuminare anche all’interno per renderla ancora di più protagonista.
Stanotte la Chiesa di Santa Maria sarà bellissima come non mai e Don Ferdinando è prima perplesso e poi contento nonostante le parolacce in cagliaritano di Sergio Atzeni. Tutto si perdona ad Atzeni e tutto perdona anche Don Ferdinando perché quando leggi Atzeni hai l’impressione che il mondo diventi migliore e la chiesa del 1400 sembra un quadro di Giotto.
Inizio io con una nota lunga vestita dagli harmonizer e poi Lella attacca con “Passavamo sulla terra leggeri” e la sua voce si incrina come sempre accade tra di noi su quel brano. A metà Flavio legge sé stesso commosso come noi e quelli in prima fila seduti per terra, gli unici che riusciamo a vedere per via delle basse luci al led, ridono o piangono perché la Sardegna è così e Uta pure e non puoi sorridere o piagnucolare da queste parti. Il Presidente dell’Associazione “Su Niu de su Pilloni” Fabio Gorgoni è contento. I giovani utesi del Movimento giovanile “Sardegna virtuosa” e la Consulta dei giovani hanno fatto un ottimo lavoro e le luci si spengono sulla piazza.
Noi rientriamo nel nostro camerino per prendere le ultime cose. Questo è tappezzato di foto grandi e piccole e di piccoli fogli. Sono i voti per la Madonna di Monserrato. L’otto settembre di ogni anno lì si celebra la festa e arrivano pellegrini e devoti da tutta l’Isola per chiedere la Grazia o ringraziare. Quel giorno la Madonna viene vestita a festa. Solo le donne possono farlo e tra queste ci deve essere una donna che chiede la grazia.
Anche le due giovani ragazze di “Bellas Mariposas” di Atzeni chiedevano la grazia metropolitana. Quella che il loro babbo “pezzemerda” se ne andasse via di casa. Perché vivere a Cagliari nei quartieri popolari del Cep o di Is Mirrionis era più difficile che a Uta e i carciofi non erano senza spine.

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