Molto rumore per Aida

Al Comunale di Bologna un nuovo allestimento di Aida firmato da Pier'Alli trova sulla sua strada una direzione di Daniele Gatti che ne accentua il tono da grand opéra e ne compromette in gran parte l'efficacia.

Recensione
classica
Teatro Comunale Bologna
Giuseppe Verdi
14 Giugno 2001
Che il pubblico applauda incondizionatamente uno spettacolo che si è percepito in gran parte come fallimentare e di cui non si vorrebbe essere stati testimoni succede. Strano però che neppure il benché minimo accenno di dissenso si sia manifestato al termine dell'Aida messa in scena al Comunale di Bologna in un nuovo allestimento coprodotto col Carlo Felice di Genova. Questa Aida inchioda Verdi a responsabilità che non ha, a un ruolo dal quale intendeva tenersi lontano quando nel 1871 si intrigava con questa rivisitazione del grand opéra. La foga direttoriale di Daniele Gatti ha restituito un amalgama tronitruante e congestionato, condito di sonorità fortemente sbilanciate e di interpreti assai disuguali nella qualità vocale e drammaturgica. Difficile dire se Gatti abbia voluto estrarre e portare in primo piano certe voci interne della partitura per restituircene una rilettura originale e inedita. Se così fosse avrebbe compiuto un'operazione di cui non ci sentiamo di condividere nulla. La preponderanza dei legni ad esempio, la petulanza del clarinetto ad esempio (ma il discorso vale in buona misura anche per oboe e flauto), era una scelta o una svista? Certo tutto si può fare, anche trasformare a tratti la partitura di Aida in un concerto per clarinetto e orchestra, ma l'immagine sonora che ne usciva acquistava un surplus bandistico così indelicato da risultare avvilente. E sì che di tragitto se ne è fatto verso la ridefinizione di questo Verdi che gioca finemente di cesello con i suoi precedenti. Ma nell'insieme è tutta l'orchestra che ci è parsa a disagio, dalla banda alla buca, legata a una tinta massiccia, greve e, soprattutto, espressivamente inerte, povera di chiaroscuri, fatta eccezione per gli estremi, in apertura e chiusura d'opera. Sul piano vocale l'Aida ben modellata e vibrante di Daniela Dessì avrebbe meritato miglior sorte dell'inelegante quanto squillante Radames offertole da Giancarlo Farina che solo nel quarto atto, ormai nella tomba, ha trovato una misura e una finezza accettabili. Sotto questo aspetto, assai più di Aida, è stata l'Amneris di Dolora Zajick a proporsi come compagna ideale di Farina, data la propensione a espandersi nell'acuto che nel finale del secondo atto, ad esempio, l'ha spinta a cimentarsi in una prestazione polmonare perforante degna di miglior causa (anch'essa tuttavia si è ricomposta strada facendo e ci ha offerto un quarto atto che è risultata forse la parte più apprezzabile dell'insieme). Nell'eterno duello delle voci, gli etiopi sono risultati nettamente vincitori. L'Amonasro di Carlo Guelfi - ottimo sia vocalmente sia scenicamente (un terreno che sotto questo riguardo era di diffusa latitanza) - ha sovrastato sia il discreto Eldar Aliev (il Re), sia il cavernoso Ramfis di Mario Luperi. Pier'Alli ha firmato regia scene e costumi e anche le bellissime luci (in compagnia di Daniele Naldi). La cifra registica ci è parsa all'insegna di masse statiche, immobilizzate in schiere stilizzatissime a fronte di pietre immani in movimento. L'allestimento, poderoso e fascinoso, ha costituito l'unico vero appeal di questa Aida. Il macchinario principale (molto somigliante a quello messo in opera nella Tetralogia bolognese di una decina di anni fa) era una gigantesca parete basculante su un asse orizzontale. Istoriata di geroglifici cangianti sotto le diverse angolature di luce radente, da inclinata rappresentava il basamento di una piramide colossale, mentre posta in orizzontale si è tramutata infine nell'enorme pietra tombale scesa a rinchiudere i due eroi sventurati. Notevole la scena del secondo atto, un grande tempio simil-Luxor, con una vertiginosa fuga centrale chiusa da un globo lucente in lontananza. Statue megalitiche, piramidi in bella vista in un notturno livido (III atto) completavano una lussuosa iconografia egizio-interplanetaria, memore di Spielberg e di Star Wars, illuminata dai bagliori di corazze splendenti ed elmi da Impero Galattico. Il cocktail visivo, col suo barocchismo hollywoodiano, seducente quanto rischioso, sarebbe stato perfetto con un contraltare fatto di sottigliezze sonore. Purtroppo lo si è abbinato a un vociferare congestionato, facendolo spesso scivolare verso un kitsch magniloquente e gratuito. Peccato davvero.

Interpreti: Aliev, Zajick/Sebron, Dessì/Kabatu, Galouzine/Farina, Konstaninov/Luperi, Guelfi/Almaguer, Floris, Cigna

Regia: Pier'Alli

Scene: Pier'Alli

Costumi: Pier'Alli

Coreografo: Simona Chiesa

Orchestra: Orchestra del Teatro Comunale di Bologna

Direttore: Daniele Gatti

Coro: Coro del Teatro Comunale di Bologna

Maestro Coro: Piero Monti

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