Macerata al femminile

I tre titoli dello Sferisterio

Recensione
classica
Ho avuto proprio il sentore che Francesco Micheli, direttore artistico del Macerata Opera Festival, abbia cercato (e ci sia riuscito) di far emergere la propria estroversa personalità di regista giovane pur nel circuito abbastanza stretto di tre titoli di repertorio, come Aida, Tosca e Traviata. Immagino che la scelta delle tre opere non sia responsabilità sua; molto concrete, a volte sono le ragioni che dettano le scelte dei consigli di amministrazione dei teatri. Molta freschezza quindi, dalla scelta della grafia infantile di titoli, sottotitoli e loghi, alle attività collaterali che hanno arricchito il festival: incontri con gli studenti delle scuole e delle università, una maxi serata dedicata ai cori marchigiani (in mille a cantare!) tante letture e musiche su famosi personaggi femminili del cinema e della letteratura, e la “Notte dell’Opera”, tutta incentrata su suggestioni egiziano-verdiane , che ha invaso la città il 31 luglio.

La voglia di novità di Micheli si è estrinsecata poi in maniera esplosiva nella regia dell’opera di apertura, Aida, di cui ho già scritto dopo la prima del 18 luglio. Ma dopo scelte così azzardate si è tornati al classico e al sicuro, con la Traviata di Svoboda-Brockhaus, nota ormai come “la Traviata degli specchi”, proposta con qualche modifica nella regia rispetto alle edizioni precedenti, che ha ottenuto il prevedibile e meritato successo. Tra questi due estremi, non sono francamente riuscita a comprendere le scelte di Franco Ripa di Meana ed Edoardo Sanchi, rispettivamente regista e scenografo di Tosca. E’ normale che di fronte all’ennesima rappresentazione di opere rappresentatissime si cerchi di dare nuove letture, magari attualizzanti; ma musica e libretto già parlano da sé, e non hanno bisogno di altri significati che si accavallino gli uni sugli altri…. L’Aida è apparsa eccentrica, ma comunque coerente, le fila della drammaturgia verdiana sono state rispettate. Ma invece che senso ha dilatare una storia che nel libretto si svolge in poche ore in un arco temporale di tre secoli? La scenografia di Tosca è andata dall'Ottocento del primo atto, ai primi del Novecento del secondo, ai fasci littori del terzo. Simboli, scritte (“Vittorio Emanuele II padre della Patria” e tre colonne del Vittoriano, che c’entrano?), elementi gratuiti e senza senso (così anche il bracciale volutamente tintinnante di Tosca nel primo atto, Tosca che non si suicida alla fine, ma rimane in piedi a guardare il pubblico) che si sono sovrapposti a Puccini/Illica-Giacosa senza essere funzionali alla drammaturgia; in più le luci fisse, bianche, hanno fatto sì che quest’allestimento mancasse di quella lievità e poesia di cui Svoboda è invece maestro.

Quello che si apprezza in questa stagione è la musica: i cast dei cantanti, specie i ruoli dei protagonisti, tutti all’altezza dell’immenso spazio dello Sferisterio, tutti bravi attori, e le tre direttrici-donna, che hanno saputo tirare fuori il meglio dall'orchestra FORM. Tre personalità diverse, espressione anche di culture diverse: l’anglosassone Jones, quasi irritata verso chiunque le chieda della sua esperienza in un ruolo maschile per tradizione, l’orientale Kim, discreta, sicura e precisa, e la mediterranea Scappucci, dal gesto ricco ed espressivo, che ho avuto il piacere di salutare in camerino mentre commentava ancora accaldata ed eccitata la propria performance, disturbata dai moscerini sulla partitura.

Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche

classica

Piace l’allestimento di McVicar, ottimo il mezzosoprano Lea Desandre

classica

A Bologna l’opera di Verdi in un nuovo allestimento di Jacopo Gassman, al debutto nella regia lirica, con la direzione di Daniel Oren

classica

Napoli: il tenore da Cavalli a Provenzale