Luci ed ombre di un "Martyre" multimediale

inserite qui il testo in breve

Recensione
classica
Teatro di San Carlo Napoli
Claude Debussy
12 Dicembre 2001
Dimostrazione scientifica dell'"eroismo della normalità", esaltazione della resistenza contro il potere costituito, storia del compimento di una volontà inarrestabile: questo è il Martyre de Saint Sébastien nell'allestimento della "Fura dels Baus", tornato in scena a quattro anni dal suo esordio, come spettacolo di chiusura della Stagione 2001 del Teatro di San Carlo. Qualcosa di più di una semplice lettura, una liberissima interpretazione, meglio ancora: una rivisitazione. Discussa e discutibile, ma interessante. Nella smisurata lunghezza delle sue cinque parti o "mansioni", nel rapporto problematico intercorrente tra testo e musica, nella sua teatralità statica fondata sul predominio della parola, il "Mistero" di D'Annunzio e Debussy - che non a caso, mai è riuscito ad entrare nel repertorio dei teatri lirici - si presta innegabilmente ad una operazione come quella messa in atto da Alex Ollé e Carlos Padrissa. La forma del Martyre qui appare completamente stravolta : dalle cinque ore dell'originale si passa un'ora e mezza scarsa di spettacolo; il lunghissimo testo in ottonari di D'Annunzio è ridotto in frammenti, con l'interpolazione di un nuovo testo in prosa che pone al centro della vicenda un medico - impersonato da Miguel Bosé - cui è affidato il ruolo di attestare "la normalità" di Sebastiano; la struttura della pièce è completamente alterata sia nella successione , che nella composizione delle sue parti costitutive. Il risultato è uno spettacolo a tesi ("in fondo siamo tutti martiri") che si serve dei movimenti coreografici, delle proiezioni e dei filmati computerizzati, per far parlare più direttamente al tempo presente il testo dannunziano. Scenicamente l'operazione tutto sommato funziona; quello che non va semmai è il rapporto tra ciò che si vede e ciò che si ascolta: le scene di realismo chirurgico, il volteggi sulle altalene, i costumi "anatomici", il nero come colore prevalente; tutto questo non solo non stabilisce nessun tipo di relazione con la musica, ma il più delle volte tende a prevaricarla. Anche le azioni coreografiche, che potrebbero svolgere un qualche funzione di liaison, in molti punti appaiono fastidiosamente inutili. In più la realizzazione è segnata da vari incidenti di percorso : luci fuori tempo, meccanismi che non funzionano a dovere, pronunce difettose. In particolare, non appare in serata di grazia il coro, forse anche a causa della tensione venutasi a creare con Ollé durante le prove, per il rifiuto di affrontare una scena dello spettacolo nella quale gran parte dei coristi dovevano figurare con la testa infilata in una grande pedana appoggiata sulle spalle. Assolvono invece egregiamente il loro compito le tre voci soliste, soprattutto Ewa Malas-Godlewska. La direzione di Julian Kovatchev è attenta ed efficiente, ma tende ad impastare le mezze tinte di cui è ricca la partitura di Debussy in una base uniforme di grigio. Alla fine, a parte qualche dissenso, il pubblico applaude, anche se senza grande entusiasmo.

Note: Produzione dell'Associazione Musica e Arte "Le tre caravelle"

Interpreti: Hurtado, Terraza, Gubisch, Pondjiclis, Malas-Godlewska, Bosé

Regia: Versione scenica: La Fura dels Baus Interpretazione scenica: Alex Ollé, Carlos Padrissa Effetti visuali: Manuel Huerga, Franc Aleu

Costumi: Jaume Plensa

Coreografo: Erre que Erre

Orchestra: Orchestra del Teatro di San Carlo

Direttore: Julian Kovatchev

Maestro Coro: Fausto Regis

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