L'eleganza di Britten alla Scala

Bella edizione di Death in Venice con la regia di Deborah Warner

Recensione
classica
Teatro alla Scala Milano
Benjamin Britten
05 Marzo 2011
Ottimo risultato per Death in Venice di Britten, per la prima volta alla Scala, 37 anni dopo il debutto mondiale alla Fenice. Il bello spettacolo, prodotto nel 2007 dalla English National Opera in collaborazione con la Monnaie di Bruxelles, è felicemente approdato a Milano senza soffrire della forzata defezione del tenore Ian Bostrige. La direzione di Edward Gardner, alla guida dell'organico ridotto previsto da Britten, è risultata lucida e tagliente. Come pure eccellente John Graham-Hall nei panni del protagonista (pur se di aspetto troppo giovane per la parte), disinvolto in scena e sicuro di voce. Compito non facile perché Aschenbach è spesso solo, senza copertura né accompagnamento di strumenti. In aggiunta tutta la compagnia di canto si è dimostrata di alto livello, anche nella recitazione. Elegantissima la regia di Deborah Warner, attenta nell'impostazione della gestualità, dei movimenti del coro e delle comparse. I costumi di Chloe Obolensky, che evocano l'alta borghesia europea degli anni Venti, colpiscono nel segno. Belle le luci, solare quella dell'arrivo del piroscafo a Venezia dopo la luttuosa apertura a Monaco, malata e nebbiosa quella del secondo atto, con il colera che ammorba l'aria e l'anima di Aschenbach. Mentre durante i suoi lunghi monologhi gli compare alle spalle un fondale nero con in negativo la scrittura di Thomas Mann: il rovello e l'impotenza dell'artista non possono essere più espliciti. Non così invece il coté dionisiaco, che nella seconda parte dell'opera pare soffocato da quello apollineo. La patinata messa in scena non lascia infatti spazio ai furoriche si stanno scatenando, Eros è assolutamente latitante, presente soltanto nelle parole del protagonista, mai fisicamente sul palco. Ne sono esenti anche i corpi dei bravissimi ballerini dell'Accademia della Scala, come pure lo stesso Tadzio (Alberto Terribile). Tutto in scena è misurato, sofisticato, pulito, studiato al millimetro perché nulla venga a incrinare l'equilibrio dello spettacolo. Il turbamento provocato dall'epifania di Dioniso e l'incapacità di trovare un nuovo linguaggio adeguato all'imprevedibile restano confinati nel cervello di Aschenbach. Successo pieno a fine serata, con applausi interminabili e fischi d'ammirazione da parte dei numerosi spettatori anglosassoni.

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