Le Nozze“mutiane” di Erina Yashima

A Ravenna, nell’allestimento spoletino di Giorgio Ferrara

Nozze di Figaro (Foto Mario Finotti)
Nozze di Figaro (Foto Mario Finotti)
Recensione
classica
Ravenna, Teatro Alighieri
Nozze di Figaro
22 Febbraio 2019 - 24 Febbraio 2019

L’ultima volta che Le nozze di Figaro avevano risuonato nel Teatro Alighieri di Ravenna (era il luglio 2002) sul cartellone spiccavano i nomi di Riccardo Muti, Giorgio Strehler e i Wiener Philarmoniker: una di quelle serate che segnano la storia di un teatro (qui la recensione).

Tale eredità viene ora simbolicamente raccolta da Erina Yashima, direttrice d’orchestra trentatreenne, tedesca di nascita con ascendenze giapponesi, allieva della prima edizione della Riccardo Muti Italian Opera Academy (Ravenna 2015) ed ora assistente del Maestro alla Chicago Symphony Orchestra: una nuova occasione per saggiare a distanza l’efficacia artistica di quella iniziativa, dopo La Cenerentola che Yashima ha diretto in varie città italiane nella scorsa stagione. 

Il gesto è scomposto, inutilmente esagitato: meglio non guardarla. Ma l’effetto c’è tutto, e di ben alto livello: energia, precisione, varietà di colori, attenzione continua verso il palcoscenico; e se un paio di volte un cantante distratto perde il tempo, in mezza battuta viene rimesso in carreggiata. Le sue Nozze di Figaro sembrano derivare direttamente da quelle di Riccardo Muti (che con questa partitura, più che ogni altra, ha scritto una pagina di svolta nell’interpretazione operistica), sia in alcuni atteggiamenti generali della concertazione (il peso dato ai bassi, le sottolineature espressive di certi accenti orchestrali, il vezzo di introdurre un piano improvviso subito seguito da crescendo), sia nel dettaglio di passi specifici (l’inconfondibile affondo dei contrabbassi nel quartetto del secondo atto, la magniloquenza della marcia sul finire del terzo). E ad aiutarla nel ricreare il suono del Maestro deve concorrere certamente anche l’ottima Orchestra Giovanile Luigi Cherubini, che si è presentata al suo meglio (un particolare plauso al cembalista Alessandro Praticò, per la fantasia e il gusto con cui ha accompagnato i recitativi secchi). Lasciamo il tempo a Yashima di abbandonare i modelli e dar voce alla propria personalità: ne avremo un direttore di gran pregio.

In scena, un bel gruppo di cantanti, specie nelle prime parti: Simone Del Savio (Figaro), un baritono chiaro, sonoro, mai forzato; Lucrezia Drei (Susanna), spigliata vocalmente e scenicamente impeccabile; Vittorio Prato (Conte), il più elegante, stilisticamente ineccepibile, a dispetto di un corpo di voce non molto sonoro; Francesca Sassu (Contessa), meno convincente e incostante, alternando un “Porgi amor” problematico a una ripresa di “Dove sono i bei momenti” di notevole suggestione; Aurora Faggioli (Cherubino), che la regia fa purtroppo eccedere in certe smaniosità adolescenziali del personaggio.

Lo spettacolo era quello di Giorgio Ferrara (con scene dei “premi oscar” Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo, e gli esuberanti costumi di Maurizio Galante), nato a Spoleto nel 2016, all’epoca giudicato un po’ grottesco (qui la recensione), ma che nella ripresa di Patrizia Frini sembra aver acquistato in sobrietà e grazia. 

 

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