Le facce di Romaeuropa

Incroci e intersezioni nel festival romano

Recensione
classica
Che sia in gioco il ‘600 o, al contrario, il ‘900, le proposte del Romaeuropa Festival hanno spesso (forse sempre?) l’obiettivo di trasfigurare, in una incredibile molteplicità di modi, il materiale artistico da cui prendono le mosse. Per dirla col tema dell’edizione 2016 – PORTATI ALTROVƎ – c’è tutta l’intenzione di creare incroci e intersezioni, riletture e trasformazioni, mettendo ancora una volta sotto i riflettori musica, teatro, danza, letteratura. E tra i molti appuntamenti di questo primo mese del Festival, che si è aperto il 21 settembre, ve ne sono stati due appunto connessi con due compositori di primissimo piano, rispettivamente del Seicento e del Novecento.

Ninfa in lamento, proposto nell’affascinante convince di Villa Farnesina, ha visto protagonista la duttile voce di Sabina Meyer, insieme alla tiorba di Simone Colavecchi e agli effetti elettronici di Elio Martusciello, complici in perfetta sincronia nel rileggere per il pubblico di oggi brani di Claudio Monteverdi e dei suoi contemporanei, scelti in funzione del tema del ‘lamento’. La sofferenza, che è emblematicamente rappresentata nel celebre Lamento della Ninfa di Monteverdi, diventa momento di sconfitta ma anche di rinascita, di catarsi, e la ricchezza di sfumature insite nella vocalità pensata dal compositore cremonese hanno suggerito alla Meyer un progetto che, in ultima analisi, restituisce alla musica una buona parte del suo carattere provocatorio e innovativo. Cioè quello che possiamo immaginare abbia avuto per gli ascoltatori dell’epoca, messi di fronte a un rapporto tra parola e suono totalmente nuovo. La vocalità della Meyer, che alternava al testo seicentesco l’improvvisazione contemporanea, il suono caldo e profondo della tiorba, strumento cardine nei ripetuti giri armonici delle passacaglie, l’intervento dell’elettronica – suoni e video – che avvolgeva l’ascoltatore, tutto ha contribuito alla creazione di un caleidoscopio di sensazioni ed emozioni, nelle quali il pubblico ha potuto ritrovare la vitalità di tutti gli affetti presenti nel ricco repertorio seicentesco. Insomma, a suo modo la Meyer, che sia grazie ai vocalizzi improvvisati o all’apporto dell’elettronica, ha creato un originale ponte tra il passato e il presente, sul quale far transitare la forte carica espressiva con cui la musica di Monteverdi, Kapsberger, Strozzi riuscì a stupire e a commuovere il pubblico del ‘600.

Interamente costruito su Music for 18 Musicians di Steve Reich, è stato proposto al Teatro Argentina il nuovo riallestimento di Rain, di Anne Teresa De Keeersmaeker, coreografa più volte ospite del Romaeuropa Festival, particolarmente attenta alle partiture musicali del Novecento. Nel brano scritto nel 1976 da Reich, la continua ripetizione dell’elemento melodico, in linea con l’idea del minimalismo americano, è il luogo per una lenta ma inesorabile trasformazione, ottenuta attraverso modificazioni e sovrapposizioni ritmiche, dando vita a un ampio continuum sonoro – poco più di un ora – nella cui scrittura è fondamentale l’apporto timbrico offre dai vari strumenti. Di grande effetto e intimamente legato al carattere della musica, il nuovo allestimento pensato per la compagnia Rosas (dieci danzatori, sette donne e tre uomini) ha l’esuberanza di una festa, nella quale la circolarità del palcoscenico si combina col senso complessivo dell’onda che trasporta i corpi in molteplici direzioni. Estremamente impegnativo per i dieci giovani, instancabili nel correre, cadere, rialzarsi, catapultarsi da una parte all’altra del cerchio, interagire tra di loro in una serie infinita di combinazioni, Rain è ben riuscito nel riportare a livello scenico il movimento continuo della musica. Molto efficaci, in questo senso, anche i giochi di luce, che hanno contrappuntato i diversi momenti dello spettacolo. Dentro il mondo sonoro di Reich hanno preso vita i dieci giovani corpi, in continua e affascinante trasformazione, come particelle elementari dentro un immaginario nucleo, spinti dalla forza di un ritmo musicale tanto inesorabile quanto sottilmente mutevole.

Il Romaeuropa Festival prosegue fino al 3 dicembre e, in alcuni dei suoi prossimi appuntamenti, ci sarà modo di destreggiarsi tra Eric Satie, Tom Waits, Sylvano Bussotti e Brian Eno. In un complesso equilibrio di proposte, costruite tracciando un innovativo percorso artistico, quello che appunto intende portare il pubblico ‘altrove’.

Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche

classica

Nuova opera sul dramma dell’emigrazione

classica

Napoli: per il Maggio della Musica

classica

Al Theater Basel L’incoronazione di Poppea di Monteverdi e il Requiem di Mozart in versione scenica