Le armi di Aida

A Cagliari è andata in scena un'Aida ambientata dal regista Stephen Medcalf nel periodo delle guerre di fine Ottocento. Il tema della guerra è diventato la chiave di lettura di tutto l'allestimento, con la marcia trionfale trasformata in una esibizione di armi. Scorrevole e brillante la direzione di Maazel. Piena di sfumature espressive l'interpretazione di Norma Fantini.

Recensione
classica
Teatro Lirico di Cagliari Cagliari
Giuseppe Verdi
13 Luglio 2003
Quattro cannoni vengono montati sulla scena, sferragliando. E sparano cannonate, in mezzo a schiere di soldati armati fino ai denti, e a ballerini con moschetto. Così ha intepretato la marcia trionfale Stephen Medcalf nella sua Aida messa in scena a Cagliari (dove il regista inglese aveva già messo in scena Romeo e Giulietta del villaggio di Frederick Delius, e la recente Zauberflöte), con le scene e i costumi da Jamie Vartan e le sapienti luci di Giuseppe Di Iorio (che creavano un vortice di colori e di ombre). Medcalf ha voluto ambientare questa Aida all'epoca della sua prima, con particolare attenzione alla guerra franco-prussiana del 1870 ("Si sa che il conflitto franco prussiano ha rallentato la preparazione della messinscena fra Parigi e il Cairo e che Verdi per primo era profondamente turbato da questi eventi [...]"). E il tema della guerra è diventato la chiave di lettura di tutto l'allestimento, elemento di contrasto drammatico con il destino dei personaggi, non lasciato sullo sfondo ma esibito nelle armi, nei fucili, nei cannoni, nel "consiglio di guerra" che apre l'opera, nelle divise militari (ispirate a quelle dell'esercito di sua maestà britannica nelle guerre coloniali di fine Ottocento, simili a quelle del film Le Quattro Piume di Shekar Kapur), nelle bandiere dell'epoca, nella parata militare ("In fondo non ho fatto che adeguarmi a quello che accade generalmente in questi casi e chiunque di noi potrebbe riscontrare nella propria memoria sfilate di questo genere [...] Da sempre le armi hanno esercitato un fascino sulle masse, le hanno eccitate con la loro tecnologia, il loro potere di distruzione"). Regia comunque elegantissima, giocata su sguardi e gesti mai retorici (bellissimo il duetto finale quasi ieratico, senza enfasi né smancerie), sulla repentina alternanza tra scene solistiche e scene corali (che apparivano repentinamente dietro un diaframma), su masse che si muovevano sempre frontalmente, addensandosi sul proscenio nei momenti di massima densità musicale. Il tutto in uno spazio scenico costruito come un cretto che si estendeva dal palcoscenico al fondale ("il deserto [...] il nulla che invade lo spazio"), e che nella scena finale si sollevava come una smisurata lastra tombale. Con delicate punteggiature orientali (la prima scena del secondo atto descriveva l'appartamento di Amneris arredato di sete e damaschi, una specie di harem ispirato al gusto orientaleggiante che dominava in molta pittura di fine Ottocento). Di grande richiamo la presenza sul podio di Lorin Maazel (reduce da quattro concerti diretti a Cagliari con la New York Philharmonic) che ha impresso alla musica una grande scorrevolezza, esaltando i colori della partitura, soprattutto quelli degli ottoni. Norma Fantini è stata una splendida Aida, profondamente immedesimata nel suo personaggio, capace di renderne tutta la gamma di emozioni. Collaudato Radamès, Walter Fraccaro, appariva un condottiero scenicamente credibile, con un fraseggio nobile e una voce solida, piena di pathos, solo povera di sfumature dinamiche e sempre spinta negli acuti. Bravissima l'americana Tichina Vaughn nei panni di Amneris, a suo agio in tutta la tessitura, così come il Ramfis di Giovanni Furlanetto, dalla voce calda e pastosa, e l'Amonasro di Nikolaj Putilin, cantante di grande temperamento.

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