L'Arena chiude con Rigoletto
Spotti sul podio e cast all-star con Tézier, Oropesa e Pati
09 settembre 2025 • 3 minuti di lettura

Arena di Verona
Rigoletto
11/09/2025 - 11/09/2025L’ultima recita di Rigoletto chiude con successo la 102esima edizione dell’Arena di Verona Opera Festival. L’opera in tre atti di Giuseppe Verdi va in scena con la regia tradizionale di Ivo Guerra, rispettosa del libretto di Francesco Maria Piave e in grado di permettere agli attori una sufficiente libertà nei movimenti che non sfocia mai nell’istrionismo fine a sé stesso. Le apprezzabili scenografie firmate da Raffaele del Savio (ispirate a quelle della storica edizione veronese del 1928 a cura di Ettore Fagiuoli) riempiono il vasto palcoscenico areniano con un ampio fondale e un castello dall’afflato crepuscolare (merito anche delle suggestive luci di Claudio Schmid) e insieme agli eleganti costumi di Cara Galleri immergono il pubblico nella corte rinascimentale mantovana con efficacia drammaturgica e spettacolarità.
Nel cast si impone l’esperto Ludovic Tézier, uno dei baritoni di riferimento sul panorama internazionale per il ruolo del buffone gobbo. Il cantante francese trionfa con una tecnica vocale sempre al servizio del personaggio e del suo timbro caldo e voluminoso, che rifulge nella corretta dizione, nell’intonazione, nel fraseggio e nel legato (basti a titolo d’esempio la memorabile esecuzione di Cortigiani, vil razza dannata, vigorosa e vitale). L’eccellente recitazione dell’artista ci consegna un Rigoletto spesso meditabondo, in preda al dubbio, anziché all’ira. Un padre già consapevole dell’impossibilità di comunicare con la giovane figlia e della sua impotenza dinanzi alla forza crudele e fatale dell’amore. Nel ruolo di Gilda la superstar Lisette Oropesa (chiamata a sostituire l’indisposta Erin Morley), anche lei veterana del ruolo con cui debuttò in arena nel 2018. Il soprano statunitense fornisce un’interpretazione classica, ma non meno intensa, sfoggiando tutte le sue capacità vocali per mandare in visibilio il pubblico: gli improvvisi pianissimo, gli acuti sfolgoranti (seppur non sempre impeccabili, come dimostrano alcune imprecisioni nella resa di Caro nome) e la gestione notevole anche del registro grave ‒ caratterizzato da un sofisticato vibrato che sembra evidenziarlo quasi in senso drammaturgico ‒ garantiscono alla cantante un meritato successo. Pene Pati disegna un Duca di Mantova più volubile che volitivo, mai veramente virile e in effetti un po’ piatto. Il tenore samoiano, dallo strumento ben educato e dal timbro chiarissimo (dal carattere quasi femmineo nel disciplinato registro acuto), cresce vocalmente nel corso della recita dopo qualche inciampo ritmico nel primo atto e lascia ben sperare per il futuro. Per ora occorre limitarsi a sottolineare una prova semplicemente buona (e forse traviata da una condizione fisica non proprio adeguata), ma ancora priva della finezza nel fraseggio che questo ruolo impone. Di grande effetto è, invece, la voce profonda e ben appoggiata di Gianluca Buratto, che nei panni di Sparafucile entusiasma durante il primo atto (strabiliante la nota finale del duetto con Rigoletto, tenuta davvero a lungo e con un’ottima intonazione), mentre Martina Belli si apprezza per la riuscita presenza scenica con cui interpreta Maddalena. Il resto del cast si applaude per professionalità e pertinenza, mentre il coro, di solito impeccabile, sembra a tratti in difficoltà non tanto dal punto di vista vocale, quanto da quello ritmico, risultando abbastanza disunito.
Sul podio Michele Spotti, che conduce l’orchestra veronese (in un’esecuzione tutto sommato corretta) senza particolare brio, preferendo rendere gli sfoghi della partitura verdiana secondo una levità non sempre convincente, tanto da scadere talvolta nella piattezza interpretativa. Inoltre, si segnala qualche incertezza ritmica rispetto al palcoscenico, soprattutto nel primo atto dell’opera.
Un’arena gremita e partecipe saluta soddisfatta la stagione appena conclusa, con picchi di entusiasmo per Oropesa e Tézier.