La profondità del tempo

Firenze: meditazioni musicali e filosofiche per Suoni Riflessi

SB

14 novembre 2025 • 4 minuti di lettura

Suoni Riflessi
Suoni Riflessi

Sala Vanni, Firenze

La profondità del tempo

09/11/2025 - 09/11/2025

Ci piacciono le stagioni dove si propongono accostamenti inconsueti, si impaginano capolavori noti accanto a brani meno frequentati ma a loro vicini, storicamente o nell’ispirazione, per un pubblico che, oltre a godere dell’ascolto, ama vedere aprirsi nuovi panorami e scoprire connessioni nascoste. È il caso della rassegna Suoni Riflessi di cui già ci occupammo in occasione di un omaggio a Salvatore Sciarrino  che ha presentato anche per il 2025 una serie di concerti dove nulla è banale o scontato e ogni proposta si lega alla contemporaneità viva e militante. Diamo conto qui del concerto del 9 novembre al Carmine in Sala Vanni dal titolo evocativo: ‘La profondità del tempo’, preceduto da un incontro con la studiosa Virginia Bellanti che al tema del tempo in musica ha dedicato un saggio edito dalla casa editrice universitaria fiorentina. Nella musica il tempo non è solo misura, ma materia da plasmare, spezzare o trascendere. Come dice Bergson: «La durata reale è ciò che dura quando non si misura più il tempo». Il programma percorreva un secolo di metamorfosi del sacro e del tempo nella musica occidentale. Musica come riflessione sull’impermanenza: ogni suono, appena nato, già svanisce, eppure lascia un’impronta nella coscienza. Un tempo che non scorre, ma vibra, e in questa prospettiva, la musica non racconta più il divenire: lo sospende, lo trasfigura.

Il programma presentava una scelta di tre delle Six epigrafes antiques di Claude Debussy nella trascrizione per flauto e pianoforte, brani del 1914 allusivi ad un tempo mitologico e arcaizzante, filtrato attraverso il simbolismo; i titoli suggeriscono riti e visioni più che narrazioni: Pour invoquer pan, dieu du vent d’été, Pour un tombeau sans nom, Pour l’Égyptienne. Il suono è rarefatto, sospeso, costruito su timbri e silenzi che sembrano scolpire l’aria, per una musica che si offre come eco di un passato reinventato attraverso il sogno.

Con le Chansons madécasses (1925-26) per voce, flauto, violoncello e pianoforte Ravel attinge a poesie pseudo-esotiche del XVIII secolo, ma dietro la patina coloniale costruisce un raffinato teatro interiore. La sensualità di Nahandove si alterna alla protesta di Aoua! contro gli oppressori, fino alla quiete ambigua di Il est doux. L’organico cameristico si trasforma in un laboratorio timbrico: i glissandi del violoncello, i trilli del flauto, i colori del pianoforte dialogano con la voce in un mirabile intreccio di suono e parola; la sperimentazione di questo brano non lasciò indifferenti molti compositori dopo Ravel, tanto è vero che nel brano successivo, tripartito, Rencesvals (1946) di Luigi Dallapiccola, il grido che apre il trittico è mutuato in modo diremmo palmare dall’Aoua! delle madécasses. Il maestro italiano scrisse Rencesvals su frammenti dalla Chanson de Roland (XI sec.) ma nell’opera di Dallapiccola un eco del periodo storico contemporaneo è sempre presente, e così in questo brano, sicuramente un capolavoro di maestria dodecafonica ed espressiva, dove il testo, cupo, descrive il muoversi delle truppe di Carlo Magno, il loro accamparsi al trascorrere della notte, e un sogno triste dell’imperatore. Non c’è un riferimento esplicito alla tragica contemporaneità, ma esso balza evidente all’ascolto; d’altronde lo stesso compositore scrisse che le opere composte in quegli anni portavano con sé qualcosa della tragica e recente esperienza del dopoguerra. La brava soprano Silvia Tocchini nelle madécasses ci sembrava un po’ trattenuta, mentre i Rencesvals erano perfettamente a fuoco, in evidenza con gli aspetti timbrici aspri e profondi, e la pronuncia perfettamente intelligibile rendeva al brano tutta la sua grande intensità emotiva.

Seguiva l’ultimo movimento del Quatuor pour la fin du Temps (1941) di Olivier Messiaen, scritto nel campo di prigionia di Görlitz, una delle più alte testimonianze spirituali del Novecento. Vi si trasfigura l’esperienza della guerra in una visione apocalittica tratta dall’Apocalisse di San Giovanni: “Non ci sarà più Tempo”. Il Tempo musicale si dissolve in una dimensione estatica, fuori dalla storia. Ogni movimento è una preghiera sonora, un atto di fede nell’eternità della bellezza, e l’ultimo in particolare Louange à l'Immortalité de Jésus qui trascritto per il violoncello (l’originale è per violino) lavora su una fissità al limite della sospensione temporale. Heidegger direbbe che qui l’uomo si trova nell’attesa dell’eterno, quando il tempo lineare si apre al kairos, al momento della verità. Intensa la lettura cellistica di Lorenzo Cosi.

La conclusione del concerto era affidata a un brano-performance di George Crumb, Vox Balaenae, ispirato al canto delle balene e concepito come un rituale sonoro, invitava a un ascolto “dell’altro tempo”, quello della natura e del cosmo. Crumb fonde il gesto teatrale (i musicisti suonano mascherati, immersi in luce blu) e il suono amplificato in una meditazione sulla nascita e sulla fine del mondo. Come in Messiaen, anche qui il Tempo non è più cronologico ma mitico: un cerchio che si apre e si chiude nel silenzio. Gli strumenti sono amplificati, il pianoforte preparato e suonato anche dentro la cordiera, un metallofono si aggiunge a dare colori e richiami timbrici al brano. Agli interpreti era chiesto un virtuosismo non tradizionale.

Infine, abbiamo detto della bella prova della soprano Silvia Tocchini e del violoncello di Lorenzo Cosi, non possiamo tacere della sapienza e intensità musicale di Matteo Fossi al pianoforte e del flauto di Mario Ancillotti, che della Rassegna è direttore artistico. Il pubblico interessato e attento tributava un successo cordiale.