La notte dell'ira e delle faville: pacifismo e guerra per Benjamin Britten.

Pappano sbalza nel dettaglio ogni episodio di una partitura emblematica, che affronta il tema oggi attualissimo del pacifismo. L'orchestrazione, gli scarti dinamici, gli andamenti ritmici si susseguono via via morbidamente o seccamente, in piani e situazioni sonore diversissime: una scelta che trova espressione anche nella posizione del coro di voci bianche, dislocato nel corridoio che sovrasta l'ultima galleria del pubblico in alto dietro l'orchestra. Tutti elementi che concorrono a sottolineare come la pluralità di linguaggi di Britten non sia eclettismo, ma funzionale a un preciso disegno etico ed estetico. Un approccio fluido e di grande raffinatezza intellettuale, a cui i complessi di Santa Cecilia rispondono con una prova musicale d'eccezione.

Recensione
classica
Accademia Nazionale di Santa Cecilia Roma
27 Ottobre 2005
Opera particolarmente emblematica, e perciò a bella posta scelta da Antonio Pappano come apertura della sua prima stagione da direttore musicale ceciliano, il "War Requiem" di Britten affronta il tema oggi attualissimo del pacifismo. Le poesie del soldato Wilfred Owens, morto durante il primo conflitto mondiale, pur rivelandone gli orrori non sono particolarmente contro la guerra –come spesso si sente dire–, e sono unite al testo della "Missa pro Defunctis" in un corto circuito simbolico con continui ribaltamenti di significato, tipici di un'irrequieta coscienza artistica del '900. Una visione, nient'affatto facile o dogmatica ma di pacifismo critico, che traduce in musica le liriche profane per un ensemble da camera e due solisti maschili, e il testo sacro per orchestra sinfonica, coro e soprano, con un ulteriore piano sonoro occupato dall'organo e dal coro di voci bianche. Masse orchestrali che inducono talvolta a esecuzioni spinte, vistose, non prive di grandeur sinfonica ma forse riduttive. A Pappano va il merito di un'interpretazione che a torto si potrebbe definire intimistica, poiché il parossismo dinamico sempre dosato è raggiunto raramente, e che invece sbalza nel dettaglio ogni episodio della partitura. L'orchestrazione, gli scarti dinamici, gli andamenti ritmici si susseguono via via morbidamente o seccamente, in piani e situazioni sonore diversissime: una scelta che trova espressione anche nella posizione del coro di voci bianche, dislocato nel corridoio che sovrasta l'ultima galleria del pubblico in alto dietro l'orchestra. Tutti elementi che concorrono a rendere l'intero arco della composizione in un'unica campata, con il risultato di segnare come la pluralità di linguaggi di Britten non sia eclettismo, ma funzionale a un preciso disegno etico ed estetico. Un approccio fluido e di grande raffinatezza intellettuale, a cui i complessi di Santa Cecilia rispondono con una prova musicale d'eccezione. Per l'importanza della sua parte merita mentovare il coro, preparato da Roberto Gabbiani, e che ha offerto una paletta di colori e dinamiche di grande finezza. Impeccabili i solisti: gli slanci lirici di Christine Brewer fanno da contraltare al liederismo di Ian Bostridge e Thomas Hampson, nella loro diversità ideali per interpretare l'incontro dei due soldati nemici, ormai morti e perciò pacificati. Come raramente accade, alla fine gli applausi salgono lentamente fino a trasformarsi in standing ovation di un pubblico visibilmente emozionato.

Interpreti: soprano Christine Brewer tenore Ian Bostridge baritono Thomas Hampson

Orchestra: Accademia Nazionale di Santa Cecilia

Direttore: Antonio Pappano

Coro: Coro dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia; Coro di voci bianche dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia

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