La multiforme vitalità del Ravenna Festival

Avviata con successo la XXXII edizione della rassegna tra il teatro musicale di Teodora, la danza de L’Heure Exquise e il vivace romanticismo di Dantone

Teodora (Foto Marco Borrelli)
Teodora (Foto Marco Borrelli)
Recensione
classica
Ravenna
Ravenna Festival
03 Giugno 2021 - 05 Giugno 2021

Seguendo la settimana di apertura della XXXII edizione di Ravenna Festival abbiamo raccolto l’impressione di un vivace caleidoscopio espressivo e convintamente multidisciplinare, capace di trasportarci serata dopo serata dal suggestivo e, in un certo senso, intimo teatro musicale di Teodora, a una sorta di celebrazione della danza rappresentata da L’Heure Exquise, per arrivare alla coinvolgente vitalità del repertorio romantico riletto dai gesti di Dantone.

Prima tappa del nostro percorso è stata quindi Teodora, scalata al cielo in cinque movimenti, opera da camera per soprano, attrice, danzatrice, coro e strumenti composta da Mauro Montalbetti su libretto e regia di Barbara Roganti (costumi Manuela Monti). Un lavoro che ci ha accolti in medias res, con la danzatrice Barbara Martinini già impegnata a disegnare i suoi gesti sulle note dell’organo di Andrea Berardi sparpagliate nella cornice sempre affascinante rappresentata dalle volte dorate della Basilica di San Vitale. Un lavoro commissionato da Ravenna Festival in coproduzione con il XXX Festival Internazionale di Musica Sacra di Pordenone e proposto qui in prima assoluta, che ha saputo coniugare il carattere monumentale del luogo che lo accoglie alla dimensione intima di un racconto rivolto ad un pubblico raccolto e attento (oltre che limitato numericamente a causa delle note misure per il contenimento della pandemia), svolto per frammenti e suggestioni, che attraversa la vicenda contradditoria di una figura controversa qual è quella rappresentata dalla sposa dell’Imperatore Giustiniano come in una sorta di evocativi tasselli onirici. Tessere di voci e suoni che si sovrappongono a quelle del mosaico che ritrae l’Imperatrice Teodora al centro del corteo dei dignitari e delle cortigiane, quasi intenta ad osservare dall’alto dell’abside ciò che si sta svolgendo sotto i suoi occhi immobili. Un racconto plasmato tramite i versi centellinati da Barbara Roganti e rivestiti con gusto raffinato da Mauro Montalbetti attraverso le pieghe di un tessuto sonoro composto con sapiente misura grazie a una miscela di madrigalismi e stilemi arcaici uniti a soluzioni timbriche e strumentali dal carattere più contemporaneo. Caratteri che hanno segnato una materia sonora plasmata con bell’impegno dai componenti dell’Altrevoci Ensemble – Stefano Raccagni al violino, Giacomo Cardelli al violoncello, Pierluca Cilli al contrabbasso e Francesco Gesualdi alla fisarmonica – oltre che dall’impasto vocale del Coro 1685 dell’Istituto Superiore di Studi Musicali “Giuseppe Verdi” diretto da Antonio Greco. A completare la compagine Anna Bessi (portavoce), Maurizio Cardillo, Andrea De Luca, Eleni Molos, Barbara Roganti, Matilde Vigna (soundscape voci di Costantinopoli), a sostegno delle intense interpretazioni protagonistiche di Roberta Mameli (soprano) e Matilde Vigna (attrice).

La sera successiva è stato il teatro Alighieri a ospitare una sorta di vero e proprio rito dedicato alla danza, grazie a L’Heure Exquise, variazioni su un tema di Samuel Beckett Oh, les beaux jours, con regia e coreografia di Maurice Béjart rimontata da Maina Gielgud e Micha Van Hoecke su concessione della Fondation Maurice Béjart. Uno spettacolo per più aspetti pregnante e variamente simbolico, che ha visto protagonista una Alessandra Ferri capace di restituire tutta plasticità misuratamente poetica di quella che appare come una sorta di riflessione su una vita dedicata alla danza stessa. Un racconto per rimandi e suggestioni che la danzatrice ha dispiegato con grazia, affiancata dall’efficace presenza di Carsten Jung. Come testimoniato dalla stessa Ferri, lo spettacolo pensato per celebrare i quarant’anni dal suo ingresso al Royal Ballet di Londra è rappresentato da un lavoro di Maurice Béjart basato sul testo di Samuel Beckett Giorni felici, scritto dal drammaturgo irlandese esattamente sessant’anni fa. «Il ruolo della protagonista immaginato da Béjart nel 1998 per Carla Fracci – ricorda la Ferri nel programma di sala – è assolutamente fantastico: la sua Winnie è una ballerina âgée che nella sua malinconica solitudine vive nei gioiosi ricordi dei suoi giorni felici, il suo Willy, all’epoca interpretato da Micha van Hoecke, è un suo ex-partner e la famosa collina di sabbia che la sommerge è una montagna di vecchie scarpette da punta». Una sorta di melanconico e toccante viaggio nella memoria sulla scia delle musiche di autori quali Anton Webern, Gustav Mahler, Wolfgang Amadeus Mozart, Franz Lehár, una delicata girandola espressiva alla quale hanno dato un efficace contributo anche le scene e le luci di Roger Bernard e i costumi di Luisa Spinatelli.

Per il terzo appuntamento abbiamo seguito l’originale proposta – perlomeno per la scelta del repertorio – dell’Accademia Bizantina che Ottavio Dantone ha guidato in questa occasione tra le fascinazioni espressive di pagine quali la Sinfonia n. 4 in la maggiore op.90 “Italiana” di Felix Mendelssohn Bartholdy e Sinfonia n. 3 in mi bemolle maggiore op. 97 “Renana” di Robert Schumann. Partiture pienamente immerse in quella temperie che segna un romanticismo musicale che il direttore ha restituito con una vivacità dal gusto personale e coinvolgente, capace da un lato di sfrondare certe abitudini timbricamente imponenti e dall’altro di restituire una freschezza di lettura che, se ha rinunciato a certi scavi espressivamente più profondi, ha confermato la coerenza di una chiave interpretativa personale. Un esempio emblematico, in questo senso, lo possiamo trovare nel quarto movimento della pagina di Mendelssohn, quel “Saltarello. Presto” staccato da Dantone con un dinamismo coinvolgente, e restituito dalla compagine orchestrale con esuberante e compatta brillantezza.

Un bel successo di pubblico ha salutato tutti gli artisti impegnati in queste tre serate.

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