La maturità del giovane Mozart 

L’Atelier della Fenice al Teatro Malibran realizza un riuscito allestimento del Sogno di Scipione

Il sogno di Scipione 
Il sogno di Scipione 
Recensione
classica
Venezia, Teatro Malibran
Il sogno di Scipione 
08 Febbraio 2019 - 16 Febbraio 2019

Un Mozart giovane per un nuovo progetto dell’Atelier della Fenice al Teatro Malibran di Venezia, iniziativa che coinvolge gli studenti della Scuola di scenografia e di costume dell’Accademia di Belle Arti di Venezia. E tuttavia questo Sogno di Scipione di un Mozart sedicenne fra Ascanio in Alba e Lucio Silla, per la prima volta nel cartellone lirico del Teatro La Fenice, è davvero un prodotto maturo sia nella dimensione musicale che nella realizzazione scenica. Sedicenne ma già profondamente “Mozart” per l’avanzata abilità compositiva e l’audace trattamento vocale, che qui ancora risente e rielabora la tradizione barocca nelle arie rigorosamente bipartite e nell’estrema virtuosità imposta agli interpreti. 

Quanto mai opportuna appare quindi la scelta di affidare a direttore esperto di cose barocche come Federico Maria Sardelli la realizzazione musicale di questa “azione scenica” in un atto solo: passo spedito, agogiche contrastate ma senza esagerare, largo spazio al canto sono i tratti principali del suo segno direttoriale, messo in pratica dall’Orchestra del Teatro La Fenice con un suono particolarmente leggero e trasparente al servizio di un cast vocale di qualità. Ottima la prova di Valentino Buzza, uno Scipione cui Mozart non risparmia virtuosismi complessi nelle due arie “Risolver non osa” e soprattutto “Di’ che sei l'arbitra del mondo intero” poste simmetricamente ad apertura e chiusura del lavoro. Nella contesa anche vocale fra Costanza e Fortuna, per l’agilità dell’emissione e l’incisività espressiva Francesca Boncompagni si impone su Bernarda Brobro, che, dopo qualche impaccio nella “Lieve sono al par del vento”, esce sulla distanza nella seconda delle due arie di bravura. Incisive anche le prove di Emanuele D’Aguanno come Publio e Luca Cervoni come Emilio, ma un po’ fragile è sembrata la Licenza di Rui Hoshina nell’arietta che chiude il lavoro prima del coro conclusivo. 

In qualche modo obbligata dalla scelta drammaturgica di Metastasio e dalla sua fonte ciceroniana, la chiave del sogno viene coniugata in una briosa commistione di contemporaneità e astrazione con reminiscenze classiche dal cospicuo team impegnato nella costruzione dello spettacolo sotto la supervisione della regista Elena Barbalich. Per l’aspra lotta fra la volubile Fortuna bendata e vestita di giallo squillante e la solida Costanza in abito viola (i costumi sono di Davide Tonolli) un citazionismo pittorico dal tocco leggero ispira le molte trovate dal ritmo incalzante, sostenute anche dalle scelte scenografiche di Francesco Cocco, che impiega saggiamente le trasparenze di materiali plastici sbalzati con intarsi luminosi. Non è nuovo ma ci sta il risveglio brusco dal sonno che svela il gioco teatrale svelando le quinte con un accorto gioco di luci. 

Pubblico numeroso alla prima, molti applausi. 

 

 

 

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