La clemenza di Tito a Torino diretta da Roberto Abbado

La clemenza di Tito a Torino, ottima direzione di Roberto Abbado, forzata l'ambientazione in epoca fascista.

Recensione
classica
Teatro Regio Torino
Wolfgang Amadeus Mozart
16 Maggio 2008
Due le ragioni di grande merito di questa Clemenza di Tito. Lo straordinario Sesto di Monica Bacelli, vocalmente impeccabile, sempre disinvolta in scena; magistrale la grande aria del primo atto col clarinetto (il bravo Luigi Picatto). E la direzione di Roberto Abbado, lucida, tesissima in ogni istante. L'aver alzato il piano dell'orchestra di almeno un metro, ridotto l'organico, introdotto trombe e corni senza pistoni, ha di certo contribuito alle sonorità scontornate, chiare, talvolta aspre che esplodono dalla buca senza per altro mai sovrastare le voci. A questo si aggiugano le ottime prove di Daniela Pini (Annio) e di Rachel Harnisch (Servilia). Mentre Carmela Remigio (una Vitellia felina di tutto rispetto) ha dato segno di qualche difficoltà, per esempio nel difficile rondò del secondo atto col corno di bassetto ha avuto imprevisti sbandamenti nel registro basso. Sull'altro versante, quello meno positivo, va annoverata l'interpretazione di Giuseppe Filiaroti, un Tito generoso, di buona presenza, ma troppo spesso fuori misura e talvolta con intonazioni approssimative. A lasciare perpressi anche la regia di Graham Vick. Di grande abilità nel curare la recitazione dei singoli cantanti e dei cori - specie nel primo atto - ma parecchio discutibile per la scelta di ambientare la vicenda durante il Fascismo, anche se alcuni dei costumi femminili disegnati da Jon Morrel ricordano più gli anni Venti. Giocare con la Storia solo per cavarne un'immagine forte è stato rischioso, infatti dopo il primo impatto visivo delle camice nere accorrenti, della gran profusione di orbace, dell'imperatore imbrillantinato alla Ciano, il tutto finisce per afflosciarsi, complicarsi per mancanza di coerenza con le trame amorose o seduttive del libretto. A detta del regista, Tito sarebbe un dittatore che perdona pensando unicamente alla propria immagine, una lettura tuttavia che in sala proprio non arriva. Che ne succede allora del suo proposito di "sollevar gli oppressi"? E come mai in privato rispetta con generosità l'amore di Annio e Servilia? Comunque la si giri, la gratuita forzatura di Vick rimane chiusa in se stessa, come chiusa nel salotto coi monumenti della romanità sulla boiserie risulta l'opera tutta. Né valgono i pestaggi di infelici o gli incendi dietro la vetrata a rappresentare l'oppressione politica fuori dal palazzo. L'azione si svolge in un'atmosfera viscontiana da Caduta degli dei, pure con un accenno a un'attrazione omosessuale fra Tito e Sesto, ma più di tutto disturba che simile impostazione finisca per caricare di orpelli naturalistici e psicologici l'astratta parabola mozartiana sull'amicizia e l'onore. Al termine della serata applausi calorosissimi a tutto il cast, al direttore e qualche "noo" isolato all'indirizzo del regista. L'opera verrà trasmessa da Radio3 il 24 maggio.

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